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Torna alta la tensione all'interno del Partito democratico.

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«Leelezioni hanno rappresentato un grande passo avanti rispetto al dibattito del centrosinistra, perché hanno dimostrato che per il nostro elettorato gli schemini delle alleanze non hanno fondamento - dice Zingaretti - Il pluralismo correntizio oggi non è adeguato a farci discutere dei problemi italiani e a farci selezionare una classe politica fondata sul merito e non sulle appartenenze e la fedeltà ai capicorrente. E allora bisognerebbe fare una proposta rivoluzionaria: eleggere il segretario nazionale con le primarie, ma senza le liste collegate, che cementificano le appartenenze e che spesso hanno dato l'idea che non esista un partito, ma una federazione di gruppi». Sulle allenze, Zingaretti conclude: «Bisogna guardare al processo politico che questo voto ci prospetta, perché noi, Sel e Idv, abbiamo dietro un elettorato molto unito». Una posizione che trova la replica del deputato Giorgio Merlo: «Le provocazioni di Zingaretti sul futuro del Pd sono positive e da non sottovalutare. A due condizioni. Che nessuno pensi di essere il salvatore della patria. Nel Pd, come dice Bersani, non ci sono gli uomini soli al comando. Nessuno pensi di ridurre le varie sensibilità culturali per tenere in piedi solo la propria. È un vecchio trucco che ben conosciamo. Il tutto sempre in nome del rinnovamento. Se Zingaretti pensa che il Pd continui ad essere plurale senza appaltare il suo futuro a pochi illuminati, le sue suggestioni sono sicuramente da raccogliere. Però senza furberie». Duro anche il senatore di area popolare Lucio D'Ubaldo: «Il nuovo natale del Pd equivale alla morte del Pd. Zingaretti, a parte qualche trucco contabile (riforma delle primarie) teso a garantire la sopravvivenza di vecchi gruppi dirigenti, propone un disegno che annulla l'autonomia e il primato dei riformisti. L'ipotesi "old style" è l'assemblaggio di Pd, Idv e SeL, quasi che gli elettori abbiano espresso una delega in bianco a tutti coloro che si dichiarano genericamente antiberlusconiani. Così, invece di andare avanti, corriamo il rischio di tornare indietro: finiamo per ricadere, cioè, nella palude della mitica e inconcludente "unità a sinistra" già superata con Prodi nel 1996. Insomma, l'euforia post-elettorale produce "fantasie neo-frontiste" su cui vale la pena interrogarsi a fondo e per tempo. La rottamazione del Pd, cui pensa Zingaretti, è anche la strategia di Bersani?» Duro anche Biagio Minnucci ex capogruppo Ds in Regione, oggi esponente di spicco dell'area Letta: «L'intervista solleva due problemi. Il primo riaguarda le alleanze: si negano a parole ma nei fatti c'è una visione del Pd schiacciata a sinistra. Il secondo riguarda la vita interna del Pd: si negano le correnti, ma quando servono vengono richiamate. Il partito non è un luogo dove solo chi ha potere può governarlo. Si devono valorizzatre le aree e le idee che possono spingere il Pd a quelle mete per cui era nato». Molti accusano Zingaretti di non essersi presentanto all'assemblea degli eletti di mercoledì e di voler guardare a sinistra dimenticando che una delle condizioni che un anno fa gli sconsigliarono di correre alle regionali è stato il mancato accordo con l'Udc. Altri vedono nelle sue parole uno smarcamento da Bersani per avvicinarsi a Veltroni per un nuovo modello Roma. Schermaglie pre-assembleari: il 24 il Pd si riunirà per cercare di eleggere il nuovo segretario regionale. L'idea della maggioranza bersaniana è far passare Patanè. Una posizione che trova diverse opposizioni in chi - vedi Gasbarra e Sassoli, da angolazioni diverse - reputa più idoneo lo strumento delle primarie. Dan. Dim.

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