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Duecento cinesi sfruttate. Sei arresti

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«Raffinatissima,massaggi completi», «massaggiatrice dolcissima, orientale», «bella presenza massaggi rilassanti, disponibile». Erano almeno tre anni che duecento donne cinesi pubblicizzavano su alcuni quotidiani nazionali centri relax, dove i clienti si sarebbero potuti rilassare ed essere massaggiati da cittadine della Repubblica Popolare. Ma dietro questi annunci si nascondeva ben altro: rapporti sessuali a pagamento e ragazze costrette a prostituirsi in cambio del 20 per cento dell'incasso. Un sistema criminale che è stato interrotto dagli agenti della Squadra Mobile, che nell'operazione «China House» hanno arrestato sei persone, tra cittadini romani e cinesi, per sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione e immigrazione clandestina. Questo reato è stato contestato agli indagati poiché le ragazze cinesi sono state costrette a prostituirsi in appartamenti tra Roma, Sassari, La Spezia e Sora e alle quali veniva promesso un permesso di soggiorno: i posti cambiavano appena i condomini dei palazzi cominciavano a nutrire sospetti sulle attività portate avanti dalle cinesi. Alcuni degli arrestati, secondo gli inquirenti, erano responsabili della gestione «logistica del sistema», occupandosi della disponibilità degli alloggi, dell'attivazione delle schede di telefonia mobile per la gestione dei contatti con i clienti e del sostentamento delle ragazze. Ogni «lucciola» guadagnava dai 50 agli 80 euro a prestazione, ma le rimaneva in tasca solo il 20 per cento del guadagno mentre i membri dell'organizzazione, di età compresa tra i 30 e i 60 anni, fruttavano circa 50 mila euro al mese. Tra i sei arrestati anche un commercialista di 39 anni di Sassari che faceva figurare le ragazze cinesi come colf e badanti assunte dai suoi clienti, in alcuni casi inconsapevoli. Per ottenere i permessi di soggiorno i prezzi variavano dai 5 ai 10 mila euro quando i datori di lavoro venivano informati. Al vertice dell'organizzazione due italiani che si servivano di due cinesi, una ancora ricercata, che gestivano la contabilità e procuravano le ragazze da avviare alla prostituzione. La rete di prostituzione fruttava oltre 50 mila euro al mese ai membri della banda.

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