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Terroristi nel mirino dei «condor»

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Eranopronti a sparare contro la pantera vista nelle campagne di Tarquinia e all'Aurelia. Contro l'ufficiale dell'Esercito cecchino di Guidonia che nel novembre 2007 uccise due persone e ne ferì otto facendo fuoco dal balcone di casa. E assieme ad altri colleghi di polizia e Finanza, il primo maggio, giorno della beatificazione di Giovanni Paolo II, saranno col dito sul grilletto e gli occhi puntati su piazza San Pietro, su eventuali terroristi. Sono i «condor», tiratori scelti dei carabinieri, militari dalla doppia vita: lavorano a pieno ritmo nelle sezioni del Nucleo investigativo di via In Selci diretto dal colonnello Lorenzo Sabatino, ma quando serve vestono la tuta, imbracciano il fucile di precisione da migliaia di euro e proteggono gli «obiettivi sensibili». Senza intascare un soldo in più. Gli osservatori sbirciano l'area col binocolo e li informano via radio di eventuali tipi sospetti da mirare. L'ordine di sparare lo dà il comandante provinciale o il questore. Solo in casi particolari è il tiratore a decidere. Sono padri di famiglia, cattolici. E allora come sono diventati killer specializzati? Non li sconvolge avere la licenza di uccidere? La risposta è dietro l'angolo di un pensiero: «Sparando non togliamo la vita ma evitiamo che muoiano innocenti». Si diventa condor quasi per vocazione. Quando da allievi si frequenta il corso da carabiniere e l'istruttore di tiro nota una facile manegevolezza con le armi, la mira giusta per il bersaglio. È la prima selezione. Le altre guardano più in profondità fino ad arrivare all'ultima, a forma di cerchio da un centimetro di diametro: va centrato con sei colpi da una distanza dai 100 ai 300 metri. Una prova d'aquila. I Rambo in questo ambiente non sono apprezzati. Tra l'inizio e la fine del percorso selettivo ci sono test che valutano il carattere, la psicologia del soggetto, la capacità di resistere alle sollecitazioni nervose e fisiche, all'appostamento sotto acqua, freddo e caldo. Si diventa macchine da guerra a sangue freddo, in grado di decelerare in fretta il battito cardiaco dopo una corsa, afferrare l'arma e sparare il colpo, uno soltanto, senza sbagliare, perché l'errore può significare morte o ferimento di un innocente. Basta un lussazione alla spalla o un torcicollo e il condor finisce in gabbia, a casa. L'addestramento è duro e costante: si va al poligono una volta alla settimana e al Centro di perfezionamento al tiro di Ponte Salario una volta all'anno, per 45 giorni, dove si incontrano anche colleghi di altri corpi (parà, Baschi verdi, Gis) e paesi europei (Spagna, Francia, Germania, ma anche Israele) che vengono a fare scuola. S'impara a centrare un obiettivo in movimento, durante un inseguimento, su un treno, stando sull'elicottero, mentre trattiene un ostaggio o si muove dietro scudi umani. Non c'è bisogno di immaginare. Le simulazioni si fanno al computer, come per i piloti: il video crea l'ambiente, fornisce le informazioni e con l'arma collegata al calcolatore il tiratore fa fuoco. A scena finita il responso: tempo di reazione e soprattutto se è stato colpito il bersaglio. I condor non vanno solo per tetti nelle città italiane. Sono stati in Afghanistan, Iraq, Bosnia, sono in Kosovo, Libano e forse andranno in Libia. Domenica saranno a piazza San Pietro.

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