I rifiuti nel mirino della procura
La governatrice Polverini non è sotto inchiesta. Il presidente della Regione Lazio non è stata sottoposta a indagini da parte di nessuna procura. Una certezza che arriva proprio dai palazzi di Giustizia della regione. I pm romani hanno chiesto accertamenti per capire se la microspia installata nella stanza del governatore fosse stata messa dalle forze dell'ordine di altri uffici giudiziari. E questa circostanza è stata negata con fermezza dai colleghi delle altre procure. Compresa quella di Velletri. Ma resta il giallo sul blitz notturno negli uffici di via Cristoforo Colombo e sulla presenza di «cimici» in altre stanze della Regione. La magistratura della Capitale non ha ancora escluso che le due microspie e la microcamera trovate, tra l'altro, negli uffici dell'assessorato alle Attività produttive (che si occupa anche della gestione del problema rifiuti nel Lazio) possano essere state installate dalla polizia giudiziaria di altri uffici giudiziari che sta indagando su funzionari o dirigenti della Regione. Sono diverse, infatti, nel Lazio le inchieste in corso sul pianeta rifiuti. Adesso i pm romani stanno verificando se quelle due cimici possano essere riconducibili proprio ad attività investigative sull'immondizia laziale, uno dei più grandi business sul territorio. Il governatore Polverini, comunque, non risulta indagato. I magistrati della Capitale attendono adesso l'esito della consulenza tecnica disposta sulle apparecchiature sequestrate, ritenuta necessaria per comprenderne la provenienza e capire quando sono state istallate. Ieri mattina, intanto, il pubblico ministero Nicola Maiorano, titolare dell'indagine che ipotizza i reati di interferenza illecita nella vita privata e installazione abusiva di apparecchiature idonee a intercettare, si è presentato alla Regione per effettuare un sopralluogo dei luoghi dove sono state trovate le microspie. Gli inquirenti, per ora, non darebbero molto peso alla facilità di accesso da parte di estranei negli uffici: sono stati scoperti seicento badge assegnati a «sconosciuti» che potevano entrare e uscire dalla Regione indisturbati.