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Gifuni & Co. Dalla truffa al processo

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«Provoprofondo disagio a trovarmi qui nelle vesti di imputato dopo 50 anni al servizio delle istituzioni». Gaetano Gifuni, ex segretario generale del Quirinale, ha preso la parola nell'aula di giustizia per proclamarsi innocente ed estraneo alle accuse. Pochi minuti dopo le sue dichiarazioni spontanee ecco la decisione del gup Maurizio Caivano: Gifuni deve andare sotto processo e insieme a lui altri quattro imputati, tra i quali il figlio della sorella della moglie, Luigi Tripodi, per i presunti sperperi dei fondi destinati dal Quirinale alla gestione della tenuta di Castelporziano. «Non ho mai approfittato del mio ruolo presso il Senato e la presidenza della Repubblica», ha detto in Tribunale Gifuni prima di essere rinviato a giudizio con gli altri imputati, accusati, a seconda delle posizioni processuali, di abusivismo edilizio, peculato, falso, truffa e abuso d'ufficio. Una serie di reati contestati dal pubblico ministero Sergio Colaiocco, che ha ottenuto che il prossimo 11 luglio tutti si siedano sul banco degli imputati. Al centro dell'inchiesta, dunque, una serie di episodi, alcuni dei quali risalirebbero al 1993. Diciotto anni fa, infatti, Gifuni, secondo la procura, aveva affidato a Tripodi la direzione del ricostituito servizio Tenute e giardini assegnandogli anche un alloggio di servizio. Proprio questo, in base a quanto verificato dai pm, sarebbe risultato abusivo: si tratta di una villa di 180 metri quadrati, con giardino, all'interno della Tenuta. Per quanto riguarda inoltre l'accusa di peculato, il sostituto procuratore ha sostenuto nel capo d'imputazione che l'ex segretario generale del Quirinale insieme con il nipote avrebbero usato illecitamente materiali della Tenuta di Castelporziano per realizzare due mobili, di cui uno bianco e un altro con ante scorrevoli, un tavolino e una tettoia parasole nell'abitazione privata di Gifuni in via Valadier. Ma non finisce qui. Per la procura Tripodi, Alessandro De Michelis, già direttore della Tenuta, e i cassieri-contabili Gianni Gaetano e Paolo Di Pietro si sarebbero appropriati indebitamente di quattro milioni e mezzo di euro tra il 2002 e il 2008: gli ultimi tre imputati avevano la disponibilità di un conto corrente Bnl presso il Quirinale e delle chiavi della cassaforte nella quale venivano custoditi i contanti. Per mascherare tali ammanchi, gli imputati avrebbero truccato i libri mastri spediti al Servizio Ragioneria. «All'epoca della presunta commissione dei suddetti reati, quale risulta testualmente dagli atti del procedimento (prima decade di giugno 2006), Gifuni non ricopriva più la carica di segretario generale della presidenza della Repubblica, dalla quale era cessato in data 15 maggio 2006», ha detto l'avvocato difensore di Gifuni, Paola Severino.

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