Un francese sul colle
A Roma lo chiamavano Niccolò Pussino. E non per il gusto di storpiare il nome francese. Ma perché Nicolas Poussin nella città dei Papi passò i migliori anni della propria vita. Agguantò la gloria facendo fruttare l'amicizia con Giambattista Marino, barocchissimo poeta della corte dei Medici. Fu introdotto nelle più blasonate famiglie capitoline. E ottenne benevolenza e protezione dal più potente mecenate del tempo, il cardinale Barberini. Una pacchia i sette colli per l'ordinato e metodico pittore d'Oltralpe, nato da famiglia borghese e diventato nitido classicista, disciplinato studioso di ottica e di prospettiva. Nella caput mundi arriva nel 1624, dipinge il Martirio di Sant'Erasmo, ora in Vaticano, s'innamora - benché malaticcio - della figlia di un pasticciere francese trapiantato in Italia, si sposa. Torna nella Parigi del cardinale Richelieu e di Luigi XIII per dirigere i lavori del Louvre. Ma produce poco, non gli è congeniale l'ambiente parigino, avvelenato dalle invidie. Decide di lasciare la Ville Lumière e di riapprodare a Roma. E ci rimane fino al suo ultimo giorno, il 19 novembre 1665. Ma anche oltre, perché la sua tomba è in questa città, nella chiesa di San Lorenzo in Lucina. Il sepolcro è l'omaggio di un altro francese innamorato della nostra città, lo Chateaubriand. Omaggio meritatissimo dal Pussino, che stava per legare il suo nome alla più gloriosa istituzione culturale francese nella Capitale, l'Accademia di Francia. Ne sarebbe diventato il primo direttore, scelto da Luigi XIV, se la morte non avesse fermato il suo pennello, quando aveva 69 anni. Da domani monsieur Poussin torna a Trinità de' Monti, in quella Villa Medici dov'era di casa. Con una mostra perfetta per la primavera romana. Quale sfondo più leggiadro e vitalistico se non la residenza tra piazza di Spagna e Villa Borghese, ora lussureggiante di fiori e di verde anche nei suoi giardini? Di Poussin si espongono per la prima volta più di quaranta opere - arazzi, disegni, incisioni e dipinti - che declinano un solo tema: la vita di Mosé. Un'esposizione voluta e curata dal direttore dell'Accademia di Francia, Éric de Chassey, affiancato da Annick Lemoine, incaricata del Dipartimento di Storia dell'Arte. Dipinti e arazzi vengono da prestigiose istituzioni del Regno Unito, della Francia, dell'Italia: il Mobilier national, la Bibliothèque nationale de France, il Museo del Louvre, quello di Grenoble, l'Istituto Nazionale per la Grafica - Calcografia, The Ashmolean Museum - Oxford, il National Museum di Cardiff in collaborazione con la National Gallery di Londra. E dimostrano come uno stesso soggetto, il personaggio biblico, possa cambiare completamente a seconda della tecnica artistica, della grandezza dell'opera, della sua destinazione. Su Mosè Poussin realizzò una ventina di lavori, spesso insofferente - lui che amava soprattutto dipingere al cavalletto - alla committenza che gli imponeva supporti o dimensioni dell'opera. E tuttavia l'ispirazione non gli mancò mai. Per quale altro motivo altrimenti sarebbe stato coccolato dai due giganti politici dell'epoca, il Papa e il re di Francia? E per quale motivo il sovrano delle Tuileries avrebbe fatto trasporre i dipinti in arazzi? Nella mostra di Villa Medici - che si aprirà al pubblico domani per restare allestita fino al 5 giugno e che si avvale di un catalogo in due volumi edito da Drago - uno dei pezzi più interessanti sarà appunto un «Mosè salvato dalle acque» tessuto dai maestri arazzieri francesi. L'opera è la testimonanza anche di un cambio di rotta nella politica culturale della corte di Francia. Morto Colbert, nel 1683, divenne sovrintendente degli edifici del re il Lanvois. Il quale scelse Poussin al posto del celeberrimo Charles Le Brun per le meraviglie intessute dalle manifatture di Gobelins. Così Poussin ricevette nel suo Paese fama postuma. Tanto altisonante che il suo modello di pittura - inaugurato nel 1623 con una serie di tavole per i Gesuiti che illustravano la vita di Sant'Ignazio di Loyola - fu adottato per secoli, sopravvivendo alle mode per i turgori virtuosistici rubensiani o alla drammaticità teatrale del Caravaggio. Un Seicento che depura le passioni, aulico e bucolico, intrigato soprattutto dalla natura, quello di Poussin. In voga fino al Novecento. Non solo il neoclassico Jacques-Louis David ma anche il rivoluzionario Cézanne si ispirarono alla sua arte. Nella quale, e la mostra di Villa Medici lo certifica, la misura era tutto.