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Senza il Santa Lucia non cammineremo più

Regione Lazio la manifestazione contro la chiusura dell' Istituto Santa Lucia

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«Se questa struttura chiuderà dovrò interrompere la terapia, e non riuscirò mai più a camminare»: Alessio come la piccola Giulia, come Avni, come Andrea, come tutti i pazienti che, oggi, legano il loro futuro, in alcuni casi la loro stessa sopravvivenza alla Fondazione Santa Lucia, fiore all'occhiello in Italia e all'esterno nell'ambito della riabilitazione neuromotoria. Un unico presidio di protesta che intrecciava tante storie quello di ieri davanti alla sede della Regione Lazio in via Cristoforo Colombo. Il corteo, partito da via Ardeatina, contava almeno 500 persone. Trancianti i cori, «ringraziamo la presidente Polverini che distrugge la speranza dei bambini», così come la «scenografia»: un fantoccio disteso su una barella che, nelle intenzioni degli organizzatori, avrebbe appunto dovuto impersonificare la presidente Polverini, «che tagliando risorse ci toglie il diritto alla salute», e il segretario nazionale dell'associazione Diritti per gli invalidi, Giuliano Pietro Paoli, incatenato con la sua sedia a rotelle ad un palo, «perché qui ci hanno lasciati, al palo». Lotta contro l'annunciato piano di rientro, e per la vita: dagli studenti delle facoltà dell'istituto ai pazienti in riabilitazione, dai medici ai degenti in condizioni disperate, tutti in prima linea per evitare che gli sforzi fatti fino ad ora, anni e anni di terapie e riabilitazione, possano vanificarsi all'improvviso. «Non sarebbe giusto – confida Elgina, alla manifestazione con la piccola Giulia, 8 anni, da 7 in cura alla Fondazione – Mia figlia è affetta da tetraparesi spastica, stiamo faticosamente continuando vari percorsi riabilitativi, in particolare fisioterapia respiratoria e ricognitiva. L'obiettivo è quello di permettere a Giulia di riuscire a comunicare col mondo esterno, seguiamo tecniche che facilitano l'integrazione, tra poco potrebbe riuscire a utilizzare internet se solo questa Fondazione non chiudesse». Al corteo c'è anche Alessio, 25 anni, ridotto su una sedia a rotelle lo scorso 24 gennaio, dopo esser stato colpito da una pallottola vagante nel quartiere in cui vive: «Sono stato colpito alla gamba, il ginocchio ha perso i riflessi. Inizialmente ero disperato, mi avevano detto che sarei rimasto tutta la vita su una sedia a rotelle, poi le cose sono cambiate. Qui mi hanno dato una speranza, con i macchinari specializzati che nessun'altra struttura ha riesco quasi ad alzarmi. Se dovessi interrompere la terapia, non so cosa farei». Inchiodato su una sedia a rotelle anche Avni, 14 anni: «Ha una forma grave di scoliosi – racconta sconfortata sua madre – deve essere curato in modo continuativo, anche volendo non potremmo permetterci altre liste d'attesa». Ma la Fondazione Santa Lucia non sono solo i pazienti: «La squadra di nuoto rappresenta per noi non solo una cura, ma anche una forma di riabilitazione sociale – ci spiega Andrea, su una sedia a rotelle dopo un incidente stradale – Giochiamo a livello agonistico, e come noi tanti altri ragazzi impegnati in altri sport perderebbero un punto di riferimento». Ultimi ma non ultimi, studenti e specialisti. Tre i corsi di laurea della Fondazione, logopedia, infermieristica e fisioterapia, per un totale di oltre 200 alunni, anch'essi oggi a fare i conti con un futuro sempre più incerto: «Non sappiamo se saremo trasferiti in un'altra università – ci spiega Roberta, al corteo con bandiera e tamburo – ma ciò che ci preoccupa maggiormente è la cancellazione dei tirocini». E poi i medici, ieri più che mai al fianco dei pazienti: «Questa è una struttura di eccellenza di cui la Regione Lazio dovrebbe farsi vanto, se solo si sapesse cosa rappresentiamo per tante famiglie in Italia e all'estero», conclude sconsolato, allargando le braccia, il professor Marco Molinari. Ma non tutto è perduto perché per lunedì prossimo è stato fissato un incontro in Regione per trovare una soluzione.

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