di TIBERIA DE MATTEIS Considerati enfants terribles della nuova scena italiana, Stefano Ricci e Gianni Forte sono ormai una ditta riconoscibile, ospitata anche sui palchi internazionali.
Aspiegare le ragioni di questo evento e il successo di un binomio artistico presto destinato al grande schermo, grazie all'impegno di un produttore romano che gli garantirà assoluta libertà creativa, è Stefano Ricci che qui dirige un quintetto di performers. Perché avete scelto di misurarvi nel territorio della fantasia infantile? «Partire dai Grimm significa qui indagare dove si nasconda la favola nel nostro quotidiano attuale. Dietro cosa ci trinceriamo e cosa ci raccontano per illuderci? Quali sono i compromessi, le delusioni, le frustrazioni che costituiscono le nostre piccole morti di ogni giorno, confinandoci in uno stato di precoma? Esce fuori un mondo che trova altri boschi in cui rifugiarsi: c'è un tentativo di crescita mediato da una mancanza di comunicazione diretta come avviene con Facebook e i contatti virtuali. Facebook è il bosco in cui non riusciamo a recuperare il senso del nostro essere rispetto al tempo in cui viviamo». In cosa crediamo oggi? «L'attesa del principe azzurro o la morale consolatoria ci ha trasformato in un popolo del gratta e vinci che invece dovrebbe imparare a usare meglio la sua bacchetta magica». Qual è il segreto del gradimento che suscitate nel pubblico e nella critica? «Alla fine ogni nostro spettacolo prosegue il cammino intrapreso in questi anni sul tema della morte. Diamo voce a istanze, necessità, punti di domanda che appartengono a tutti. La schiettezza di non mascherarsi dietro a una storia o ai personaggi, ma la ricerca di un rapporto diretto con gli spettatori ci conduce a un percorso semiotico che potrà anche non essere facile per tutti, ma è riscattato da un lavoro sull'emotività che toglie i veli del teatro borghese».