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L'ironia amara di Samuel Beckett

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Larisata amara che scaturisce da una solitaria insofferenza non ancora del tutto privata di speranza appartiene allo stile di Castri quanto alla drammaturgia più innovativa del secondo Novecento e da questa fertile intesa non poteva non scaturire un lavoro convincente e autentico, capitanato da un interprete del calibro di Vittorio Franceschi nei panni del cieco Hamm, impossibilitato perfino ad alzarsi dalla sua carrozzella, in serrato quanto vano confronto con il servo Clov, affidato a Milutin Dapcevic. Ectoplasmi di figure umane, collocate come da copione in allusivi bidoni della spazzatura, sono poi i due genitori del protagonista, con cui si cimentano Diana Hobel e Antonio Giuseppe Peligra. Nella ritualità privata di senso di una conversazione franta e separata dall'essere, si recita la malattia umana nelle sue più svariate declinazioni, complice la scenografia rigorosa e vivida di Maurizio Balò che evoca l'immagine della scacchiera, ricordando la metafora del titolo. Eppure il silenzio non è totale e il pianeta non è spento se da una finestra arriva un chiaro e rasserenante vociare di bambini. È la vita che irrompe piano, inattesa e illusoria, in una terra desolata che forse merita di essere ancora abitata nonostante tutto e tutti. I toni sornioni, beffardi, grotteschi e ciarlieri di Vittorio Franceschi attribuiscono al personaggio un'infinità di sfumature che spesso sono mancate nelle precedenti, sia pure pregevoli, versioni di quest'opera, mai finita e risolta, come è tipico dei grandi classici d'autore. E non poteva animarsi sulla scena una dimensione più consona alla celebre battuta: «Non c'è niente di più comico dell'infelicità» che ha immortalato il testo, sintetizzando il pensiero dell'autore che spiegò così l'analogia tra il contenuto di «Finale di partita» e il gioco degli scacchi, durante le prove dello spettacolo allo Schiller Theater di Berlino: «Hamm è il re in questa partita persa fin dall'inizio. Nel finale fa delle mosse senza senso che soltanto un cattivo giocatore farebbe. Un bravo giocatore avrebbe già rinunciato da tempo. Sta soltanto cercando di rinviare la fine inevitabile». Come non leggervi una fedele rappresentazione della condizione umana in un mondo che diviene ogni giorno più scomodo e più risibile, confermando una suggestione che il teatro emblematizza e la realtà quotidiana testimonia?

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