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L'urne dei forti

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diLIDIA LOMBARDI Fregoli non ha voluto fronzoli. Trilussa ha scelto il travertino. Aldo Fabrizi si è concesso l'ultimo sberleffo e ha voluto un epitaffio preso dal suo sonetto «Er mortorio». Dunque nel 1990 saluta il mondo dicendo di sé: «Tolto da questo mondo troppo al dente». Sghignazza con lui dall'anno Duemila Vittorio Gassman, che si schernisce sulla tomba con un «Non fu mai impallato!». C'è la compagnia del teatro, del cinema, dei letterati nei viali grigi e verdi (la terra, i cipressi, i marmi) del Verano, il cimitero monumentale di Roma. Il Pincetto, la parte più antica, regala memoria su memoria e i volti dei grandi che illustrano foscolianamente la Patria. Cappelle capolavoro, sculture, arabeschi, scorci con colonne antiche ne fanno un posto da non rifuggire, ma da frequentare. Da pubblicizzare almeno quanto il Pere Lachaise parigino, che squaderna la dimora eterna di intellettuali e artisti. Questa mattina, se la pioggia darà tregua, uno spettacolo teatrale toccherà i sepolcri dei nomi che sono cari agli italiani. Silvia Catalano, Flavia Giovannelli, Emanuela Giovannini, tra gli altri, restituiranno frammenti di vita e testi. Le tappe saranno le tombe di Eduardo de Filippo, di Trilussa, di Petrolini, di Ciccio Ingrassia. Accanto al Quadriportico - subito dopo l'ingresso con le grandi statue (Meditazione, Speranza, Carità, Silenzio) - una stazione davanti all'avello della famiglia Garibaldi e un'altra accanto al monumento dedicato a Goffredo Mameli. Nulla di lugubre c'è in questo ritorno al passato. Invece la suggestione del silenzio che parla, del dialogo con chi ci ha insegnato e resta nell'immaginario collettivo del Paese. Un'atmosfera impalpabile, pensosa e ricca di senso. Come in uno splendido film del francese Erich Rohmer, «Il raggio verde». Il raccordo è anche con l'antica Roma. Qui, lungo la consolare Tiburtina, c'era una necropoli, poi le catacombe di Santa Ciriaca, la sepoltura di San Lorenzo sulla quale sorse il convento e la basilica. Il moderno Verano fu voluto da Napoleone dopo il 1804 e l'editto di Saint Cloud che imponeva le sepolture fuori dalle mura cittadine. Porta la firma di Giuseppe Valadier, l'architetto che ideò anche la scenografia di piazza del Popolo. Racconta anche una delle giornate più tragiche di Roma, il bombardamento del quartiere San Lorenzo, il 19 luglio 1943. Andarono distrutte le tombe di Petrolini e della famiglia Pacelli. Sono state ricostruite e sono piene di fiori. Insieme a quelle di Sordi e di Fellini, di Rossellini e di De Sica, di Sergio Leone e di Luchino Visconti. Siamo nell'empireo.

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