A via Portuense gli afghani hanno occupato il Forlanini
Dalle tende lungo la ferrovia di Ostiense ai padiglioni del Forlanini a via Portuense, sede dell'ospedale conosciuto nel mondo. È lì che si sono rifugiati i profughi afghani, in uno dei quattro padiglioni abbandonati, 10 mila metri quadri su quattro piani di marmi, scalinate e alti soffitti di architettura mussoliniana. E il primo a sinistra entrando dall'ingresso laterale da via Portuense, è diventato il tetto dei disperati con un lasciapassare da rifugiato politico in tasca. Ieri pomeriggio Il Tempo è andato a vedere. «Vivono qui da abusivi, alla luce del sole, e nessuno gli dice niente» si vociferava da tempo, dopo che a novembre non è stata più concessa la disponibilità della struttura per il Piano freddo del Comune. L'ex commissario straordinario e chirurgo toracico Massimo Martelli voleva assisterci gli anziani. Invece dei vecchietti ci sono gli afghani. E sono abusivi. Come i 72 profughi, che stavano nell'ex ambasciata somala dove è stata stuprata la ventenne italo-croata. E ora che sono stati finalmente sfrattati vagano nella città. Forse chissà finiranno anche loro a dormire al Forlanini. «Oltre noi afgani ci sono anche egiziani, marocchini, qualche pachistano e anche romeni» spiega Khan, 20 anni. L'abbiamo visto arrivare ieri verso le tre del pomeriggio insieme all'amico Abdulkan, 30 anni. Percorrono il viale tra gli alberi, dove ci sono ancora le transenne, una specie di gabbia che separava il percorso dei senzatetto fino al padiglione trasformato in dormitorio, quando per l'immobile c'era ancora la convenzione per il Piano freddo. «Adesso invece dormiamo per terra - spiega il ragazzo - oggi siamo venuti qui per cambiarci i vestiti e lavarci». Temono l'arrivo di altri profughi, sanno cosa sta succedendo in Libia e negli altri paesi. «La convivenza non è facile» dicono. Fatto confermato dai continui interventi per risse e coltellate delle forze dell'ordine, carabinieri e polizia, di Monteverde. È pieno giorno, ma il via vai è continuo. Entrano e escono alla spicciolata, a gruppi di due o tre, scavalcando un balcone laterale perché il portone è chiuso con la catena. La presenza è tollerata, ovvio. Ma mal digerita da chi lavora qui. «Prima insieme alle persone assistite col Piano freddo entravano anche gli irregolari. Oggi non sappiamo più chi sono».