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Piccoli rom in pericolo

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Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano incontra i genitori dei quattro bambini rom morti nell'incendio

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«Quello che ho visto ieri sera non lo dimenticherò mai. Per me sarà un tormento quotidiano». Così il sindaco di Roma, Gianni Alemanno si sfoga a fine giornata su una ferita della e nella Capitale difficile da rimarginare. Il rogo del tugurio che si è portato via la vita di quattro bambini in un campo nomadi sull'Appia Nuova «è una tragedia che pesa su ciascuno di noi - ha commentato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano che ha incontrato i genitori delle piccole vittime - e che ci rende ancor più convinti della necessità di non lasciar esposte a ogni rischio comunità che da accampamenti di fortuna, degradati e insicuri, debbono essere ricollocate in alloggi stabili e dignitosi. Le autorità locali e nazionali non possono non sentirsi impegnate ancor più fortemente a dare soluzione a un problema così grave in termini umani e civili». Una necessità, quella di far coincidere la cultura nomade con le basilari regole del vivere civile, dopo decenni ancora irrisolta. Non è una questione politica e neanche economica. Piuttosto sociale e culturale. Per questo fanno riflettere le parole di Alemanno sui minori che vivono nei campi rom. «Un'attenzione particolare, durante gli sgomberi, verrà riservata ai minori: se c'è rifiuto da parte delle famiglie di garantire livelli di assistenza adeguati - dice il sindaco - chiederemo al tribunale dei Minori che ci sia la possibilità di levarli alle famiglie e darli in affidamento». Una linea sottilissima quella tracciata da Alemanno che può forse apparire cinica da una parte ma che accende i riflettori su un aspetto del problema nomade a lungo ignorato, dall'altra. Quale futuro per i bimbi rom? Venuti al mondo spesso «per caso», trascorrono i primissimi anni di vita appesi al collo delle mamme, o delle giovanissime sorelle, ai semafori, agli angoli delle vie, a respirare smog e ingiurie, sotto il sole cocente dell'estate o la pioggia battente dell'inverno. E quanti, già a quattro, cinque, sei anni vanno per ristoranti con le rose in mano per vendere qualcosa? E poi via via, con un destino già segnato. Dal quale è difficile uscire per volontà o per opportunità. Dei bambini nomadi che vengono sottratti ai genitori e accolti in case famiglia non resta, spesso, che il ricordo di un fugace passaggio. Come ogni bambino al mondo, a qualsiasi latitudine e in qualsiasi condizione economica, anche i bimbi nomadi hanno solo un'unica, inesorabile esigenza: stare con mamma e papà. In questo tuttavia l'istituzione può e deve intervenire sull'assistenza e, se il caso lo ritiene, anche allontanare i minori a garanzia non tanto di un futuro migliore ma almeno dell'opportunità di crearselo. Temi e riflessioni ai quali, tuttavia, la politica ancora non sa rispondere. Il giorno dopo l'orribile rogo l'opposizione, locale e nazionale, spara a zero contro Alemanno. Il primo sindaco di centrodestra della Capitale che proprio sul piano nomadi ha speso gran parte del suo mandato. Il centrodestra replica compatto alle accuse di chi fino a due anni e mezzo fa era ai posti di comando. Il fervore della polemica politica rende muti persino coloro che lanciano appelli a non speculare sulla morte di quattro bambini. La tragedia dell'Appia può avere solo e soltanto un merito, quello di accelerare una soluzione definitiva alle baraccopoli. Per questo Alemanno ha già chiesto più poteri per il commissario straordinario ai rom, il prefetto di Roma e più risorse. Solo così si può scavalcare l'ottusa burocrazia nostrana e iniziare finalmente a costruire nuovi campi dove potranno convivere cultura nomade e condizioni di vita civili.

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