"Via dai campi. È lì che nasce il loro disagio"
La legge c'è. Perché non è stata applicata è da vedere. «Se è vero che quella famiglia aveva rifiutato il sostegno, va verificato quale servizio sociale ha fatto questa proposta, che tipo di assistenza è stata offerta e se il caso ci è stato segnalato o meno. Comunque, esiste già una norma che disciplina tali situazioni». Anche se sembra proprio che «il caso» non sia stato segnalato, il presidente del Tribunale dei Minori di Roma Melita Cavallo assicura che farà i dovuti controlli, segnala situazioni di vera e propria schiavitù minorile nei campi rom e sottolinea che il problema va affrontato con interventi di lungo periodo, perché gli effetti delle politiche d'integrazione si vedono dopo almeno un decennio. Presidente, il sindaco Alemanno dice che, nell'eventualità di un rifiuto dell'assistenza, chiederà al tribunale l'affidamento dei minorenni. «L'articolo 1 della legge 184 dell'83 prevede che la famiglia naturale debba essere aiutata a garantire i diritti ai figli. Se la famiglia rifiuta, i genitori possono perdere la patria potestà e i bimbi allontanati. Il tribunale, infatti, può valutare l'atteggiamento degli adulti come volontà di mantenere i minori in quello stato». È stata spesso indiretta testimone di casi di maltrattamento, sfruttamento e abbandono? «Non c'è giorno in cui non ci troviamo di fronte a casi di degrado ambientale, mancanza di cure sanitarie e accattonaggio forzato. I piccoli fermati vengono poi ripresi in consegna dai genitori o dai presunti genitori...». Come presunti? «Spesso non hanno documenti e non iscrivono i figli sul passaporto. Quindi, non possono dimostrare di essere i genitori». E allora come vi comportate? «Rimediamo attraverso il prelievo del Dna o con una verifica sugli schedari della polizia». Sono i familiari a sfruttarli? «Vengono usati come manovalanza. E se non raccolgono una certa somma, sono botte. Ogni tanto i vigili o gli agenti li portano al pronto soccorso e scoprono che hanno segni evidenti di pestaggi, magari sulla schiena. Una volta un bambino mi ha detto: "Se non faccio almeno 50 euro sono guai". Dar loro denaro significa perpetuare questo stato di vera e propria schiavitù». In questi casi che fate? «Li allontaniamo dai genitori, li trasferiamo in una casa-famiglia e poi si valuta se riaffidarli al padre e alla madre. Se non accade, vanno in affido e, raramente, in adozione». Succede spesso che ve li ritroviate davanti? «Sì. Anche questa famiglia romena era stata rimpatriata nel 2006. Poi rientrano, e la storia ricomincia». Come si risolve la questione rom? «Servono interventi strutturali, case vere, scuole non lontane da queste case, vaccinazioni per poter iscrivere questi bimbi a scuola e separarli dai loro sfruttatori». In base alla sua esperienza, le risulta vero che i nomadi, in quanto tali, non vogliono integrarsi nella nostra società stanziale? «Se avessero un buon lavoro e buone condizioni di vita si integrerebbero. Se restano nei campi, no. È l'ambiente che crea disagio sociale e devianza. Quando ero a Napoli, due tredicenni rom ci chiesero di essere allontanate dai familiari e di andare al Nord. Ho saputo che vivono a Bologna, lavorano e una si sta per sposare. Gli effetti di queste politiche sociali, però, si vedono dopo dieci-quindici anni...».