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Molinaro: Busco non è un mostro

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Raniero Busco

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Il colpevole. I Cesaroni non hanno mai smesso di cercare il colpevole. Hanno convissuto per più di vent'anni con quell'insaziabile sete di giustizia che non ti fa trovar pace. Mai. Perché in testa hai mille piste, tanti scenari, troppi dubbi. Possibile che adesso che la Corte ha deciso che l'assassino è Raniero Busco tutte le perplessità siano svanite? Possibile che non sia rimasta lì, in fondo al cuore, quella vocina che ti dice che no, non è Raniero l'assassino. Che lui rischia ventiquattro anni di galera senza aver fatto nulla. E che c'è qualcun altro, invece, che mercoledì, dopo il verdetto, ha tirato un insperato sospiro di sollievo. E ha continuato la sua vita. Normale. Che Raniero - che una vita normale non ce l'ha più - sia solo un colpevole, non il colpevole? Lucio Molinaro, legale della famiglia di Simonetta, non ha mai nascosto le perplessità che lui e i Cesaroni avevano all'inizio del processo. Avvocato Molinaro, Paolo, il papà di Simonetta, ha ripetuto fino alla sua morte, nel 2005, che l'assassino era negli atti. E anche lei era dello stesso avviso. Solo che Busco negli atti non c'è. Ha cambiato idea? «Altro che se c'è. Busco è stato interrogato. La sua posizione è rimasta, come dire, sospesa. Nessuno ha mai pensato di indagarlo. Quello che è accaduto, è accaduto indipendentemente dalle indagini. Tutto è nato perché io mi sono ricordato che sul cadavere della povera Simonetta c'erano il corpetto e il reggiseno e sono andato a cercarli all'Istituto di medicina legale. Busco non è un capro espiatorio. Solo che su quegli indumenti c'è il suo dna. Il processo è nato da lì». Cosa ha pensato quando si è scoperto che il dna era di Busco? «Non ci credevo. "Non può essere lui l'assassino" ho pensato. E così ha pensato la famiglia di Simonetta. Cavallone (il pm che ha condotto la fase "istruttoria", ndr) ha dovuto convicere noi per primi. Ha dovuto trovare altre prove. Come il morso e il tassello macchiato di sangue sulla porta. È stato il processo a farci cambiare idea. Si sono celebrate 22 udienze». Dei dubbi però rimangono. Possibile che a Busco non sia stato chiesto l'alibi la notte dell'omicidio? «Ma l'alibi gli è stato chiesto. Lui è stato portato in questura alle tre di notte. Lo hanno fatto aspettare in una cella, seminudo, fino alle 6.30 del mattino, sperando che confessasse. Poi, visto che lui non diceva niente, alle 06.48 lo hanno interrogato. Lui ha raccontato agli inquirenti che lavorava di notte e la mattina dormiva fino a tardi. Che usciva di casa verso le 16, e incontarava gli amici al bar intorno alle 19. Certo, non è stato approfondito cosa ha fatto dalle 16 alle 19». Una delle prove ritenute decisive dalla Corte sembra essere il morso sul capezzolo di Simonetta, ritenuto contestuale all'omicidio e tale da giustificare la presunta saliva su corpetto e reggiseno. Ma perché allora gli indumenti non sono sporchi di sangue? «Il morso ha lasciato un segno leggerissimo. Non ha provocato la fuoriuscita di sangue. Gli indumenti erano puliti perché le 29 coltellate le sono state inflitte dopo che lei era già morta a causa del forte colpo alla testa. Il punto è che lì c'è il dna di Busco. È il fatto biologico la prova». Chi uccide con 29 coltellate è un mostro. raniero Busco per lei è davvero un mostro? «Nessuno di noi lo ha mai definito un mostro. I giornali lo hanno scritto. Erano due fidanzati che hanno litigato e sono arrivati al parossismo della lite. Litigando ha perso la testa. Succede tra padre e figlio, tra moglie e marito. Lo vediamo tutti i giorni: una lite può portare all'omicidio. Io mi rifiuto di dire che raniero sia un mostro. E non l'ha mai detto, né pensato neanche la famiglia».

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