di LORENZO TOZZI È ormai innegabile.
Sonoormai già dietro le spalle gli anni in cui apparve sul podio ceciliano, quasi timidamente ma con grande personalità interpretativa, poco noto al grande pubblico. Dopo numerose esecuzioni soprattutto del beneamato repertorio russo (in primis Ciaikovsky ma non solo) è ormai di passaggio a Roma (s'intende sul podio dell'Orchestra dell'Accademia Nazionale di S. Cecilia) per più di un appuntamento musicale a stagione. Ad esempio è protagonista stasera nella capiente Sala S. Cecilia (repliche lunedì e martedì prossimi) di un sapido programma che ruota intorno alla Sinfonia n. 3 «Eroica» di Ludwig van Beethoven: un capolavoro, com'è noto, inizialmente dedicato a Napoleone Bonaparte e poi più genericamente al «sovvenire di un grande uomo», che ha rivoluzionato con l'ampiezza dei suoi sviluppi (vi sono state rilevate ben sette idee tematiche differenti nel solo primo movimento) la storia stessa della sinfonia classica europea. Fa da corona la briosa Sinfonia del Barbiere di Siviglia di Rossini, in realtà presa a prestito da partiture rossiniane precedenti come il Ciro in Babilonia e l'Aureliano in Palmira. La settimana prossima Temirkanov sarà poi di nuovo sul podio per una esecuzione del Requiem di Giuseppe Verdi, altro capolavoro spettacolare di grande interesse per il pubblico. Un fil rouge unisce tuttavia i due concerti: Beethoven e Verdi restano difatti, due autori di grande spessore etico, pur nel loro inquieto rapporto con la religione. Ma l'asso nella manica, e un non inferiore motivo di interesse, è costituito dalla presenza sul palcoscenico del solista siberiano, virtuoso del violino, Vadim Repin nel pirotecnico Concerto in sol minore per violino (1866) del tedesco Max Bruch, opera forse più spettacolare e funambolica che di indiscutibile valore musicale, almeno al confronto di altre celebri pagine consimili di Beethoven, Brahms, Mendelssohn o Ciaikovsky. Una menzione a parte merita Repin, russo, quaranta anni tondi tondi, interprete precoce tanto da vincere a soli undici anni il Premio Wieniawsky nell'anno del suo debutto a Mosca e Pietroburgo. Viene poi la vittoria al Reine Elisabeth di Bruxelles a soli 17 anni. Da oltre un ventennio è sulla ribalta delle più importanti stagioni concertistiche del mondo, spesso sotto la direzione di bacchette famose come quelle di Muti, Boulez, Chailly, Gergiev, Mehta e altri. Tra le sue mani lo splendido Guarneri del Gesù del 1736, dal suono vellutato e multiforme. Un interprete dunque congeniale al virtuosistico Concerto di Bruch, che richiede una robusta tecnica ma anche una bella e aperta musicalità. È infatti il cavallo di battaglia dei violinisti più spericolati e acrobatici a partire dal suo primo interprete, Joseph Joachim amico e interprete di Brahms, così prezioso di consigli nella stesura del Concerto col suo autore, considerato uno degli epigoni del tardo romanticismo musicale, destinato dopo una effimera notorietà in vita, a un quasi totale oblio postumo da cui si staglia appunto solo questo raro ma raccomandabile Concerto.