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La dignità e il dolore di una famiglia per bene

Raniero Busco sorretto dalla moglie durante il verdetto

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Una notte insonne, come del resto era prevedibile. Raniero e Roberta si sono girati e rigirati nel letto senza rivolgersi la parola. L'uno per non svegliare l'altro. Che, in realtà, stava solo facendo finta di dormire. Alle cinque, gli occhi spalancati, il cuore in gola, i coniugi Busco hanno deciso di rimanere a letto per altre due ore. Poi si sono alzati, dando inizio ad una delle giornate più difficili della loro vita. Dopo aver fatto colazione tutti insieme, è stata la mamma di Raniero a portare a scuola Riccardo e Valerio, i due gemellini figli dei Busco. Hanno nove anni e, fino a ieri, non sapevano granché di tutta questa brutta storia. Uno dei due - racconta Roberta - deve aver capito qualcosa. In questi ultimi giorni l'ha abbracciata più spesso del solito, come a volerle stare ancora più vicino. Raniero e Roberta, poi, sono andati a Rebibbia. Non hanno mai voluto perdersi nemmeno un'udienza e sono in Aula anche quando la Corte pronuncia il verdetto. Ci sono anche tutti i loro amici, e i parenti. Ci sono sempre stati. La mattinata scorre tranquilla, per come può scorrere tranquilla la mattinata di chi rischia l'ergastolo. I Busco ascoltano le repliche del pm, delle parti civili e della difesa poi, la Corte, sospende l'udienza e si ritira in camera di consiglio. Fotografi, cameramen e giornalisti ne approfittano per andare a mangiare un boccone. Qualcuno si accontenta dei tramezzini del bar dell'Aula bunker, qualcun altro si allontana da Rebibbia. La piccola comunità di Morena, invece, ha pensato a tutto. Gli amici e i parenti prendono Raniero e la moglie sotto braccio, li portano all'aria aperta e tentano di distrarli, almeno per pranzo. Panini, fanta, coca-cola. Ce n'è per tutti. C'è anche il tempo per chissà quante sigarette. Fino alle quattro. La Corte ha deciso, si torna in Aula. Quando i giurati entrano, come d'abitudine, tutti si alzano in piedi. Nessuno, però, si mette poi a sedere per ascoltare il verdetto. Raniero e la moglie, si tengono per mano. Ad abbracciarli entrambi c'è un omone, altissimo, che li sostiene e li separa dai giornalisti. È Paolo, uno dei fratelli dell'imputato. In mezzo alla folla c'è anche Michele, un carabiniere di 53 anni. Ha dei grandi baffi neri e tutti se lo ricordano in divisa perché durante le udienze ha sempre prestato servizio all'interno dell'Aula bunker. Questa volta è in borghese: «Sono andato in pensione il primo gennaio, ma ho seguito tutto il processo e non potevo mancare. Lo avevo promesso a Busco», spiega. La Corte sta per esprimere il verdetto e Roberta è lì, che stringe la mano al marito. I suoi occhi sembrano dire: «Non vi immaginate neanche cosa ho dentro», ma se a guardarla è Raniero si ritrasformano nei soliti occhi, forti e sicuri. Quando Evelina Canale pronuncia la parola «colpevole», Raniero si accascia. Crolla. Si accartoccia sul fratello, poggia la testa sulla sua spalla e rimane immobile. Non una lacrima fino alla classica formula «l'udienza è tolta». «Ma che state a di'» urla Paolo, proteggendo Raniero come fosse un bodyguard, mentre lo fa fuggire dall'assedio dei giornalisti. È arrabbiato, Paolo. «Sono quattro le persone che ci credono - esclama - quattro teste di legno. È uno schifo. Ecco come li spendono i soldi degli italiani, questa non è giustizia», urla salendo in macchina. E torna a Morena.

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