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"Né prove né movente Assolvete Raniero Busco"

L'ex fidanzato di Simonetta Cesaroni, Raniero Busco

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Busco è «l'imputato residuale». In un processo per esclusione è rimasto l'unico, possibile colpevole. «Non è stato A, non è stato B né C e, allora, non può essere che D». Lo fece capire anche il pm Roberto Cavallone, titolare della nuova fase dell'inchiesta sul delitto di via Poma, parlando a un giornalista, quando disse: «Abbiamo bussato a tante porte, se ne è aperta solo una». Ma così «si capovolge la logica investigativa. La regola, infatti, è che si fanno le indagini, si verificano gli indizi, si cercano le fonti di prova e si individua il probabile colpevole. Qui, invece, ci si convince di aver trovato il colpevole e poi si vanno a cercare le prove». È un attacco diretto alla tesi del pm, un affondo alle pietre angolari del castello accusatorio quello che l'avvocato Paolo Loria, legale di Raniero Busco, sferra nella penultima udienza del processo cominciato a febbraio nell'aula-bunker di Rebibbia. Il penalista esamina uno per uno gli elementi citati dal pubblico ministero Ilaria Calò. E li confuta. Parte dai metodi d'indagine, passa per l'orario della morte, attraversa lo spinoso campo delle perizie tecniche e finisce con l'assenza di un movente. Per dare un volto all'assassino di Simonetta, spiega Loria, si è indagato sul portiere Pietrino Vanacore, sul nipote di un inquilino, Federico Valle, su una persona che portava fiori sulla tomba della vittima, su un uomo detenuto in Croazia e si è seguita la pista (poi rivelatasi inesistente) del Videotel. «Ci sono molte analogie tra il caso Valle e il caso Busco - sottolinea il legale - Anche per Valle il movente era evanescente. Il ragazzo avrebbe provato rancore per una presunta giovane amante del padre che lui, chissà perché, aveva individuato in Simonetta. Una prova scientifica, la cicatrice sul braccio, che per la difesa era una smagliatura sulla pelle», diventa segno di una ferita causa delle tracce di sangue sulla porta della stanza del delitto. Infine, «la traccia, sempre sulla porta, individuata come appartenente al Valle in quanto gruppo «A Dq Alfa 1.1». La stessa traccia di sangue che oggi serve per incriminare Busco». E veniamo all'ora della morte. L'ultima telefonata fra Berrettini e Simonetta è delle 17.45 e dura una decina di minuti. Quindi arriviamo alle 18. Ma il medico legale Carella Prada, in base ai residui di cibo trovati nello stomaco della vittima, anticipa l'orario fra le 16 e le 17. A questo punto, delle due l'una: o Berrettini ha mentito (e perché?), oppure c'era un'altra donna che le ha risposto in via Poma. Ma questo esclude Busco, poiché certo non avrebbe portato con sé una donna dovendo incontrare la fidanzata. Poi ci sono le contraddizioni di Salvatore Volponi, datore di lavoro della Cesaroni. Anche in questo caso, le possibilità sono due: Volponi sapeva che cosa era accaduto o sapeva che Simonetta andava consapevolmente ad un incontro che poteva finire tragicamente. Un altro elemento dell'accusa è il «carattere violento» dell'imputato. Loria analizza le dichiarazioni dei testi, i «precedenti» di Busco (lite con la cognata e lite di condominio), descritto come un «soggetto assolutamente tranquillo, pacifico, con il quale non si è mai avuta una discussione». E ancora: Busco è un bugiardo? Ha mentito sull'alibi? Ha cercato di costruirsene uno, fallendo nel tentativo? «Lo scaltro Busco, il colpevole, colui che mente, depista, manipola gli amici fino a far loro dimenticare la povera vittima, loro amica, pur di favorirlo, alla prima domanda sull'alibi, la prima che conosciamo, dice di essere stato con Palombi. Piuttosto sciocco!». D'altra parte, l'alibi non risulta dai verbali del '90 e, quando glielo chiedono nel 2004, Busco non è categorico e dice «se non ricordo male, verso le 16 ero con Palombi...». Anche i presunti depistaggi sono un'«ipotesi un po' fuori le righe». Per quanto riguarda il «rapporto burrascoso» tra i due fidanzati, tutti i testi, anche l'amica del cuore della vittima, Donatella Villani, parlano di una «relazione normale». Tutti «soggiogati dalla personalità di Busco?», si chiede retoricamente l'avvocato. Loria passa al setaccio pure le prove scientifiche. Il materiale genetico sul corpetto e sul reggiseno di Simonetta (solo tre tracce su 19 attribuite all'imputato) non è certo che sia saliva e gli indumenti sono stati conservati per tre lustri nella stessa busta aperta, a contatto fra loro. Non è improbabile, poi, che quel materiale sia stato «depositato» da Busco la sera precedente al delitto, quando la coppia si è incontrata e che la biancheria non sia stata lavata. E il sangue sulla porta dell'ufficio Aiag? I consulenti, ricorda Loria, affermano nelle conclusioni che non si può «confermare né scartare il profilo genetico della persona sospetta, perché l'analisi è considerata non concludente». Sul presunto morso al capezzolo sinistro della vittima, infine, il penalista ricorda come il medico-legale Carella Prada scrisse nell'autopsia: «Sembra di poter denunciare l'azione di un morso». E vent'anni dopo, in udienza, ribadì: «Non mi sono mai sognato di dire che fosse un morso». In più, basandosi sulle misurazioni, non è possibile che a procurare quella ferita siano stati i denti dell'imputato. L'arringa è agli sgoccioli. Loria affronta il tema del movente, che l'accusa non ha spiegato bene - dice - e che è fondato anch'esso su un'ipotesi residuale. In realtà, Busco non aveva motivo di attraversare mezza città per chiarirsi, fare sesso o uccidere Simonetta in un ufficio di cui molti avevano la chiave. Lei, inoltre, non poteva pensare di essere incinta per un piccolo ritardo e, quindi, questo non poteva essere motivo di lite. E, per concludere, se era abitualmente così violento, come sostiene l'accusa, per quale motivo Simonetta si arrabbia, si ribella e afferra il tagliacarte quando lui la morde al seno? «Busco è nelle vostre mani - conclude Loria rivolto ai giudici - Dategli dignità e restituitelo alla famiglia. Perché è innocente». Mercoledì il verdetto.

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