Ragazzo padre quindi disoccupato
.Ma non è affatto un bamboccione. Fabio Ballini, 25 anni, romano de' Prima Porta, vorrebbe avere una famiglia propria. È già papà di un bimbetto biondo di due anni con il viso d'angelo che gli ha regalato Manuela, la bruna compagna che non può sposare perché non ha lavoro. I datori di lavoro preferiscono immigrati, facili da sfruttare e da sottopagare. Per lui, proprio perché padre, le porte spesso si chiudono. Fabio, sorriso sincero, capelli ricci curati, scarpe da jogging, «da camminatore» come sottolinea, ha studiato per essere perito elettronico. Ma ha fatto di tutto. «Il muratore, l'autista, l'elettricista» racconta. «Quando scoprono che sono un padre, le aziende cercano sempre scuse per mandarmi via - racconta - Inutile dire che spesso sono stato operaio in nero, sfruttato, umiliato insieme a tanti ragazzi più poveri di me, immigrati e italiani». Fabio vive il dramma di molti giovani romani. Con la voglia pazza di decollare verso la vita e la catena della disoccupazione che l'imprigiona alla famiglia. «Per carità, amo i miei genitori ma ormai sono un uomo e voglio portare i soldi casa», spiega mentre fa il gesto di svuotare il portafogli che non contiene neppure un euro. Quello che generalmente accade a molte donne, con un figlio da mantenere e l'emarginazione dal lavoro soltanto per il fatto di aver generato, per Fabio è testimonianza quotidiana. «L'Italia invecchia. "Fate figli", ci dicono gli uomini della politica. Ma per la famiglia niente», sottolinea allargando le braccia. «Con la famiglia si riempiono la bocca. Parlano di sostegno alle giovani coppie. Chiacchiere. Soltanto chiacchiere». «Io non ho lavoro, quindi non posso sposarmi, affittare una casa dove far crescere la famiglia. Per mio figlio ho lo sconto sulla retta dell'asilo: dovrei pagare centocinquanta euro al mese perché sono disoccupato. Ma se lo stipendio non ce l'ho, non posso pagarne neppure dieci di euro. Mentre vedo gli asili riempirsi dei figli di romeni, marocchini, bengalesi. Certo avranno diritto pure loro, ma gli italiani?». «L'anno scorso, quando non trovavo nulla, mi sono adattato a costruire serrande per un'impresa di Pomezia - riprende Fabio - Ad un certo punto hanno iniziato a pagare gli stipendi in ritardo. Ho spiegato che i soldi mi servivano perché avevo il bambino. Me li dati subito sì, ma mi hanno pure licenziato in tronco». Arrabbiato, deluso, non per questo però con minor voglia di combattere per conquistarsi un posto al sole, Fabio l'elettricista ha deciso di lanciare, attraverso il nostro giornale, un appello al sindaco Gianni Alemanno: «Scommetti sui giovani. Ridai dignità ad una generazione che non può nemmeno aspirare ad essere precaria». «Perché per noi, i precari sono ricchi», abbassa la testa. «Tutto comincia dal lavoro», batte il pugno sul tavolo per sfogare la rabbia. E al sindaco propone di impiegare i giovani disoccupati come guide turistiche e city angels. Al Colosseo, ai Fori Imperiali, a piazza di Spagna. Un modo per far uscire di casa quelli che bamboccioni non vogliono essere, per portare alla luce il mondo sommerso di famiglie come quelle di Fabio, costrette a vivere separate. «E poi, se il lavoro c'è, la gente spende e tira su l'economia», riprende cercando di farsi forza. «Adesso se devo fare un pezzo di strada abbastanza lungo, mi sforzo sempre di andare a piedi. Per questo ho le scarpe da ginnastica. L'autobus costa troppo per chi non ha niente. Abbassa la testa ma non piange. «No, questo mai! Lotterò fino alla fine».