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Il vigilante: l'ho spinto quando era di spalle

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Il cassiere, la guardia giurata, il padre dell'impiegata di banca. Sono i tre protagonisti della rapina di ieri mattina all'Unicredit finita con l'arresto dei due malviventi. Il cassiere Alessandro Marini ha i capelli bianchi e gli occhi vispi. Da qualche anno lavora all'agenzia di piazzale delle Province. Non è la prima volta che gli capita di subire una rapina. Ma i malviventi di ieri dice che non gli hanno fatto per niente paura. Anzi. «Quando me li sono visti davanti - racconta al bar, tra un caffè e un panino - ho detto: "Certo che se entrate così conciati, con sciarpa e cappello, uno può pensare che vogliate fare una rapina". E quello mi ha tirato fuori il coltello. Paura? No, non mi sono sembrati molto esperti. Non si muovevano sicuri, erano addirittura un po' impacciati. Credo fossero su di giri. Uno dei due agitava la pistola. Ho capito che non era un'arma giocattolo quando ha provato a scarrellarla per caricare il colpo in canna. E ho capito che non ci sapevano fare un granché quando è caduto un proiettile dalla pistola. Insomma la situazione sembrava addirittura buffa. Io poi mi sono allontanato dalla cassa e non ho visto bene quel che hanno fatto». La guardia giurata Calvo, corporatura robusta, indosso un paio di jeans e piumino. Ieri è stato un complice ma della polizia. «Ero in banca, fuori dal servizio - riferisce il vigilante - Ho visto arrivare questi due. Vicino a me c'era una ragazza. Aveva il terrore negli occhi. Le ho detto: "Mettiti dietro di me e non ti muovere, non ti preoccupare, presto finirà tutto". A un certo punto ho pensato che in tasca avevo il distintivo. Se i due avessero preso i nostri portafogli lo avrebbero visto e chissà che reazione avrebbero avuto. Allora sono riuscito a gettarlo dietro una scrivania senza che loro se ne accorgessero. Poi i due si sono messi a discutere. Uno diceva di andarsene e l'altro di aspettare che si aprisse la cassaforte: ma sono arrivati prima i poliziotti. Il primo si è arreso ed è uscito. Il complice è rimasto e gridava, gridava. Poi sono cominciate le trattative. I poliziotti mi hanno visto. Ci siamo intesi: mi hanno fatto capire che avrei dovuto spingere il rapinatore una volta che fosse enrato nel bussolotto per consegnare le chiavi agli agenti. E così ho fatto. Per dodici anni ho praticato arti marziali, karate, potevo fargli male». Invece lo ha solo spinto. Il padre dell'impiegata Si chiama Domenico, ha 80 anni ben portati, nel corpo ma soprattutto nell'animo: sorride, con lo sguardo sereno, consapevole di quello che è accaduto, poteva capitare e non è successo. E la figlia, impiegata nell'agenzia Unicredit della tentata rapina, probabilmente ha ereditato da lui lo stesso tratto di carattere. «Abito in viale Ippocrate - riferisce Domenico - a due passi dalla banca. Poco dopo mezzogiorno mi chiama mia figlia al telefonino: "Papà, non ti preoccupare, c'è una rapina" mi dice. Evidentemente temeva che io lo avessi capito vedendo tutta quella polizia arrivare e allora mi avvertito lei». Fab. Dic.

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