Scontro in minicar "Camilla ce la farà"
Gli amici di viale Libia al Pertini piangono e sperano. La mamma piange, caccia via i giornalisti, non vuole ficcanasi mentre aspetta che la figlia si svegli seduta davanti alla Neurochirurgia d'urgenza dell'ospedale Pertini. Dall'altra parte della vetrata c'è Camilla 17 anni, studentessa del liceo scientifico Farnesina, in coma farmacologico da giovedì notte, la notte maledetta in cui la minicar della sua amica del cuore, Sara, un anno meno di lei, liceale al Giulio Cesare, è esplosa come per una bomba, dopo lo schianto con una Opel a viale Jonio. Sono inseparabili. L'incidente le ha divise. Sara, molto meno grave di Camilla, è all'Umberto I. Al policlinico universitario c'è anche il conducente della Opel, che ha centrato in pieno la macchinetta. Che continua a ripetere: «non correvo». «Andate via, non ci voglio nessuno qui» intima la mamma di Camilla, venendoci incontro come farebbe una gatta per proteggere i gattini, una leonessa i suoi leoncini. E come non capirla. Ma la notizia che i romani volevano sapere, non può tenerla per sé. «Il miracolo c'è stato» racconta al telefonino una ragazza, una dei tanti amici della grande comitiva di viale Libia che ieri ha trasformato il Pertini nella succursale della viale Marconi del quartiere Africano. È un sollievo anche per chi non la conosce apprendere che Camilla ha superato la notte che avrebbe potuto segnare il confine. Adesso bisogna solo attendere che il tempo passi. «I medici dicono che ogni ora è un segnale positivo». La cosa che preoccupa di più è un ematoma. Qualcuno dice anche che «potrebbe essere stubata oggi pomeriggio (ieri, ndr)». Conta i minuti la madre. E i ragazzi aspettano insieme a lei circondando di premure la giovane donna, gli occhi gonfi, i capelli lunghi biondorossi sciolti sulle spalle trattenuti all'indietro, sembra un'adolescente tra gli adolescenti. Tanti giovani così, l'ospedale alle spalle di via dei Monti Tiburtini, non deve averli visti mai. L'andirivieni di ragazzi sotto i 18 o maggiorenni al primo anno di università, non si è fermato per tutta la mattinata. C'è chi ha fatto la notte fissando i vetri. Chi arriva per dare il cambio. Stretti nei Moncler, i fuseaux di lana infilati negli Ugg, gli stivali australiani di moda fra i teenger, facce pulite, perbene, sono i nostri figli, che ci chiedono il motorino e noi gli compriamo la minicar credendola più sicura. Arrivano alla spicciolata, o in gruppo, entrano e escono in un sabato mattina che doveva essere di shopping. Tre ragazze sono sedute poco distante l'ingresso del Pronto soccorso. Non vogliono parlare. Sono addolorate. «Noi non diciamo niente tanto sapete tutto voi» attaccano, infastidite. «E non ci teniamo a farci pubblicità» sottolineano. Si vede che sono deluse. Non credono che guadagnare la scena mediatica serva a garantire più sicurezza a questi mezzi che saranno sempre più diffusi nelle metropoli affamate di parcheggi. Altre invece parlano volentieri. «Siamo tanti amici, la comitiva di viale Libia, ci vediamo nei pub tra piazzale Vescovio e il Giulio Cesare» spiegano Benedetta, 18 anni, studentessa del Pablo Neruda e Ginevra, 16 dell'Avogadro, incontrati davanti al Giulio Cesare, una delle mete d'incontro. Marta invece è un'amica di un amico del fidanzatino di Sara, Francesco. «È una cosa seria, stanno insieme da più di un anno - dice - ha 16 anni come lei». Ma non vuole darci il cellulare. «Mi spiace, si è cancellata la memoria».