Il ritorno di Sandokan
diTIBERIA DE MATTEIS Chi non ricorda lo sceneggiato televisivo degli anni Settanta con un mitico ed eroico Kabir Bedi alle prese con straordinarie gesta e mai dimentico della passione per la donna dei suoi sogni? La storia rivive martedì alle 21 e mercoledì alle 17 sul palcoscenico del Teatro Biblioteca Quarticciolo grazie allo spettacolo «Sandokan, o la fine dell'avventura», liberamente tratto dal romanzo «Le tigri di Mompracem» di Emilio Salgari. Alle stupefacenti e meravigliose immagini filmiche che sono rimaste negli occhi, nella mente e nel cuore di intere generazioni si sostituisce qui l'originalità creativa di un impianto teatrale in grado di concentrare tutte le azioni più rocambolesche nel ristretto e familiare ambito domestico di una cucina. La scrittura scenica, realizzata da Giovanni Guerrieri, con la collaborazione di Giulia Gallo e Giulia Solano, tutti anche interpreti della vicenda insieme a Gabriele Carli ed Enzo Illiano, rivisita le peripezie del pirata della Malesia attraverso la più semplice, economica e funzionale magia garantita dal teatro. I quattro personaggi siedono attorno a un tavolo che si animerà via via assecondando la potenza del racconto. Con un ingenuo grembiule come unico costume si darà corpo ai voli dell'immaginazione attraverso un'apoteosi dell'uso dell'ortaggio in tutte le sue possibili e più fantasiose declinazioni: carote-soldatini, sedani-foresta, pomodori rosso sangue, patate-bombe, prezzemolo ornamentale. Ecco poi agitarsi cucchiai di legno come spade, grattugie come cannoni, una bacinella piena d'acqua per il mare del Borneo, scottex per cannocchiali e ancora sacchetti di carta, coltellini o tritatutto, chiamati a trasformarsi nelle più disparate apparizioni. Il teatro ritrova allora la sua forma assoluta e originaria di gioco per adulti e, come accade ai bambini, ogni strumento è prezioso e lecito per rappresentare le scene più diverse prodotte dall'istinto iconografico e dalla memoria umana. I luoghi si evocano senza bisogno di costose scenografie e gli oggetti mutano simbologia con la forza travolgente di un sogno che si dona alla platea attraverso la concretezza reale della visione. Facendo leva su un intreccio amato e conosciuto dalla maggioranza degli spettatori, che costituisce un emblema e un riferimento costante della narrativa e dell'invenzione avventurosa, si riesce a dipanare la storia originaria con una frenesia folle che contagia. La cucina si moltiplica allusivamente in casa di Sandokan, nave dei pirati, villa di Lord Guillonk, foresta malese, spiaggia di Mompracem. Nella più completa fedeltà all'ideale di un ironico esotismo quotidiano che aveva, infatti, consentito a un autore come Salgari di diventare il prototipo dello scrittore di viaggi, descrivendo mondi lontani e poco conosciuti, senza mai avere l'ardire o l'occasione di spostarsi davvero oltre l'Adriatico, questo spettacolo si manifesta come un elogio del potere dell'immaginazione, che rischia di naufragare nel blob superficiale della nostra epoca troppo viziata da una facilità di comunicazioni quasi mai tradotta in fertile approfondimento, e al tempo stesso come una specie di satira di costume. Piccoli uomini e grandi sogni si incontrano e si scontrano in un gioco scenico buffo ed elementare che dimostra come la verità nuda e cruda non abbia bisogno di decorazioni e orpelli perché possiede già in se stessa tutta la sua energia espressiva. Bastano le verdure e gli utensili da cucina a sintetizzare la parabola di una vita.