Il suk della Befana
La Befana vien di notte con le scarpe tutte rotte e il vestito alla romana. Ma prima passa sempre da piazza Navona. Una tradizione che affascina migliaia di romani da quasi un secolo ma che allo stesso tempo sta cambiando pelle. Anna e Rossella venivano qui da quando erano piccole, oggi ci portano le figlie. Vogliono comprare la calza e, perché no, un tipico ciambellone. Si guardano intorno e si chiedono: «Ma sono tutti asiatici? Dove sono finiti i romani che vendevano calze, zucchero filato e torrone? Si vede che non vogliono più fare questo lavoro». In effetti più della metà delle bancarelle che vendono dolciumi sono gestite da bengalesi. Quasi sempre il proprietario del banco è italiano, ma gli italiani non ci lavorano più. Roni Mohammed, 32 anni, gestisce un banco con altri cinque colleghi del Bangladesh. Paga l'affitto a un italiano, 700 euro. Ormai si sente romano: «Sono qui da dodici anni, le ciambelle vanno a ruba, chi le prova torna sempre». Oppure c'è Johnny, anche lui bengalese, che dirige un banco di proprietà di Mario Tredicine (i Tredicine sono i commercianti che hanno più banchi nella piazza). La sensazione è che la tradizione stia cedendo il passo al consumismo: «Prima era una festa, adesso piazza Navona sembra un mercato», commenta Carlo. In realtà la magia dell'Epifania si respira ancora, con saltimbanchi e Befane con la scopa che si aggirano per la piazza. Le classiche «Befane scacciaguai» sono l'attrazione e l'oggetto più comprato da grandi e piccini. Gli stand che vendono le vecchiette artigianali sono i più visitati. Ci sono anche gli zampognari, vengono dalla Ciociaria, per la precisione dalla Valle di Comino, a ridosso dell'appennino abruzzese. Mario Soave suona la zampogna, Gianni Palumbo il piffero: «È una tradizione che si sta perdendo - raccontano - una volta i giovani imparavano a suonare andando al pascolo con i vecchi. Oggi non esistono più zampognari ad alti livelli». Ma i commercianti romani doc resistono comunque nonostante i costumi che cambiano. La famiglia di Pietro Masseo, 42 anni, lavora qui da due generazioni: «Una volta si vendeva zucchero tirato, croccanti e i mostaccioli - racconta con una certa nostaglia - oggi invece la gente compra cose più semplici e meno lavorate. Ad esempio i giovani vanno matti per gli americani marshmallow (i cilindretti morbidi e zuccherati). Fortunatamente c'è ancora chi compra la calza e poi la riempie da sé». Anche se chi va di fretta ormai ripiega su quelle già pronte (le più semplici costano 6 euro). A non essere stata intaccata minimamente, invece, è la classica porchetta d'Ariccia. Giorgio fa questo lavoro da 30 anni: «La porchetta non passa mai di moda anche se una volta si vendeva di più». Anche Giovanni, 53 anni, vende una prelibata porchetta al forno. Al suo banco c'è la fila, ma lui si lamenta: «Oggi va bene perché è il 5 gennaio, ma di gente quest'anno se n'è vista molta meno».