Gabriele Simongini «È sbagliato considerarmi una pittrice, la mia è antipittura.
EccolaCarla Accardi, classe 1924, siciliana di nascita ma romana d'adozione, artista astratta di fama internazionale che conserva una sorprendente freschezza creativa, come se gli anni non passassero mai. Lo si vede bene nella coinvolgente mostra che le dedica fino al 27 febbraio il Museo Carlo Bilotti, diretto da Alberta Campitelli. L'artista stessa e il curatore dell'evento, Pier Paolo Pancotto, hanno dato vita ad un vivace ed ampio «ambiente Accardi» che invade gioiosamente il museo dimostrando proprio un superamento della pittura verso l'installazione e l'arte ambientale, percorribile e vivibile. Si è accolti da un pavimento in feltro grigio, bianco e nero popolato di segni germinanti, ma l'occhio dell'osservatore è attratto anche da un bellissimo stendardo verticale e da una serie di leggeri lenzuoli, quasi trasparenti, distesi sulle vetrate. In un'altra sala un piccolo esercito di sculture-lampade emette luce e segni. Al piano superiore si ammirano molte opere su carta inedite, che vanno dal 1949 ad oggi e disposte liberamente sulle pareti, in modi antimuseali ed anticonformisti, dando quasi l'idea di farci entrare nello studio dell'Accardi. Pochissimi artisti italiani del secondo ‘900 hanno saputo rinnovare dalle fondamenta e al contempo rispettare l'atto del dipingere con la stessa coerenza e profondità conquistare e sviluppate da Carla Accardi. E questa mostra ne dà piena conferma, portandoci in un universo di segni, colori, ritmi compositivi capaci di dare immagine alla perenne ripetizione variata che anima ogni attimo della vita del cosmo. Le intuizioni poetiche dell'Accardi sono sempre filtrate dal rigore, per non cadere nel sentimentalismo e nella trappola della narrazione. Si entra così in un mondo fatto d'energia, di leggerezza, di vitalità, di elettrizzanti tensioni fra ordine e caos.