Il Papa col tic dell'arte
diCARMINE MASTROIANNI Il nome di papa Gregorio XVI, al secolo Bartolomeo Alberto Mauro Cappellari, bellunese, vi ricorda qualcosa? Fu un pontefice intransigente e dal piglio reazionario e salì sul trono di Pietro nel mezzo dei moti rivoluzionari del 1830-31, dopo un rumoroso e sofferto conclave durato cinquanta giorni e cento scrutini. Altrettanto chiassosa era stata l'apparizione di un suo opuscolo nel 1799, e in piena bufera napoleonica, dal titolo «Il trionfo della Santa Sede»: una difesa del potere temporale e dell'infallibilità papale che qualche decennio più tardi sarebbe servito da vademecum all'ultimo papa-re Pio IX. Storia, si dirà. Nessuno tuttavia assocerebbe a Gregorio XVI la creazione di uno dei più importanti musei etruschi del mondo, il Museo Gregoriano Etrusco, appunto, che proprio dietro sua iniziativa era stato inaugurato il 2 febbraio del 1837. In quegli anni l'archeologia nostrana scriveva pagine memorabili nel riportare alla luce i resti di Tarquinia, Veio, Vulci, Caere e con essi migliaia di tombe con i loro ricchi corredi. Tale e tanto era questo patrimonio che lo Stato pontificio già nel 1820 aveva dovuto promulgare una legge, l'Editto Pacca, che regolamentava l'attività di scavo e stabiliva la prelazione sui reperti da parte dell'autorità pontificia. Per accogliere statue, vasi, bronzi e monili, papa Gregorio, in soli due mesi e mezzo, rivoluzionò le sale del pontificio appartamento «di ritiro» in cui aveva soggiornato il bibliotecario e segretario di stato di Pio VI, il cardinale Francesco Saverio de Zelada. E fra i tanti tesori che fece collocare in quei saloni, disegnati da Michelangelo e da Pirro Ligorio, spiccavano decine di vasi greco-italici, diversi per forme e dimensioni, decorazioni e provenienza; oggetti di alto artigianato a firma di Exechia o di Douris, che avevano allietato i banchetti dei lucumoni e dei nobili etruschi per poi finire nelle loro tombe sotterranee. Il 23 novembre 2010, dopo cinque anni di studi e di restauri, riapre al pubblico la Collezione dei vasi del Museo Gregoriano. Ed è uno spettacolo ammirare 730 capolavori della ceramica classica - che gli stessi greci, e non solo, ci invidiano! - che quasi si librano nel vuoto grazie ai nuovi espositori di cristallo, il tutto sovrastato dalle manieriste figure di Atlante e di Tieste, di Saul e di Nabucodonosor, silenti. Una straordinaria occasione insomma per ammirare da vicino una raccolta, antica di quasi due secoli, amata da pontefici e da studiosi e impreziosita da capolavori come quelli della Tomba Regolini-Galassi o della collezione Astarita donata a Paolo VI dall'omonimo banchiere partenopeo.