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di PAOLA PARISET Ha i capelli bianchi, foltissimi, e non li nasconde, forse perché sono comunque meno bianchi dei suoi meravigliosi denti: Raffaele Paganini non invecchia, la pelle è freschissima, gli occhi vivissimi, il fisico leggerissimo, ed ha

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Unviaggio attraverso la danza». Sì, perché Paganini la danza non la lascerà mai: lui che ha iniziato con la classica nella Scuola e poi nel Corpo di Ballo del Teatro dell'Opera, lui étoile internazionale al London Festival Ballet. Convertitosi alla danza moderna e al musical, perché «la gente mi riconoscesse per la strada» - affermava, nella sua ansia di calore, di amicizia, di contatto umano - la danza non la lascerà mai e solo ad essa affida la sua espressività. E questa volta lo ha chiamato Umberto Croppi, dall'Assessorato alle Politiche Culturali del Comune, su invito anche del sindaco, affinché con questa invidiabile accoppiata Paganini-Gershwin il pubblico si sensibilizzi alla danza (come se ce ne fosse bisogno: ma se sono i finanziamenti quelli che mancano). Nella drammaturgia di Riccardo Reim, coi costumi di Giuseppina Maurizi e con la coreografia di Luigi Martelletta - che ormai fa tutt'uno col Raffaele nazionale, perché entrambi provengono dal Teatro dell'Opera - lo spettacolo di oggi rievoca la figura sprizzante, incandescente, dell'americano George Gershwin (New York 1898- Hollywood 1937), creatore con Bernstein del musical americano e dei più bei songs del Nuovo Mondo. Ma non è tanto la sua musica ad essere celebrata, la quale intreccia con finezza raveliana – Gershwin era un ammiratore di Ravel, che però gli disse: «Perché vuole diventare un piccolo Ravel, quando è già un grande Gershwin?» - sia il più scatenato jazz, sia il blues e i dolenti spirituals americani, sia la più colta (ma amatissima) tradizione europea. Saranno invece la breve vita del compositore, i suoi momenti difficili, la sua sfavillante carriera a rivivere nella coreografia di Martelletta e nella vibrante interpretazione di Paganini, sostenuta dalla sintonia col compositore. Sì, perché quest'ultimo di gavetta ne fece, come accompagnatore di canzonette al piano, sinché non incontrò il direttore d'orchestra P. Whiteman che lo volle con sé: nacque il travolgente successo di «Rhapsody in Blue» (1924) e di «An american in Paris»( 1928) - che nel 1951 divenne il film di Vincente Mannelli, con la fresca e vivace ballerina Leslie Caron – e infine di «Porgy and Bess» (1933) che finì per rappresentare il manifesto musicale del popolo americano, insieme con «West Side Story» di Leonard Bernstein. Intanto si cominciavano già a manifestare, con mali di testa feroci, i sintomi del tumore alla testa, che avrebbe condotto alla tomba il trentasettenne compositore. Le sue ossa riposano nel mausoleo di Westchester Hills. Al mondo è rimasta l'eco dei suoi songs e la frenesia inebriante del suo teatro musicale, spesso attraversato dalla danza, che oggi sarà quella, così affine e così scintillante, di Raffaele Paganini.

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