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La notte dell'assassinio nessuno chiese l'alibi a Busco

Raniero Busco, ex fidanzato di Simonetta Cesaroni, uccisa con 30 coltellate il 7 agosto 1990 a Roma a via Poma

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Un verbalino. Una paginetta scarsa per registrare le dichiarazioni di Raniero Busco, all'epoca ventiquattrenne fidanzato di Simonetta Cesaroni. Ma in quelle poche righe non c'è la domanda più importante: «Dov'era lei nell'ora del delitto?». È la notte tra il 7 e l'8 agosto 1990. Il corpo della ragazza è stato appena ritrovato negli uffici Aiag di via Poma, in Prati. Due agenti vengono spediti a Fiumicino per prelevare Busco, che lavora come operaio per l'Alitalia, e portarlo in questura. Qui viene interrogato fino all'alba. Lui, nel corso dell'ultima udienza ha riferito che gli gettarono in faccia le foto del cadavere e lo presero anche a schiaffi. Circostanza smentita ieri dal dirigente della sezione di turno, Antonio Del Greco, che ha anche minacciato di querelarlo. Ma il punto non è questo. Il punto è che l'imputato di vent'anni dopo non veniva considerato imputabile allora. Nessuno, infatti, gli chiese l'alibi. Almeno è quanto emerso nell'udienza che si è tenuta nell'aula-bunker di Rebibbia e che ha visto sfilare sul banco dei testi l'ex capo della Mobile Nicola Cavaliere e l'ex dirigente della V sezione Del Greco. «Busco non era sicuramente una di quelle persone su cui puntavamo la nostra attenzione quella notte - ha detto Cavaliere, oggi ai vertici dell'Aisi - Si è dato per scontato che l'omicidio era avvenuto la sera tardi e lui a quell'ora si trovava al lavoro. Però facemmo una perquisizione nella sua abitazione e, quando chiesi perché fu fatto senza avvertire il pm, mi dissero che era stato lo stesso Busco ad acconsentire». Infine, in base ai ricordi di Cavaliere, l'alibi viene chiesto verbalmente ma non verbalizzato. Leggermente diversa la versione di Del Greco, attualmente dirigente della Polaria. L'alibi non fu contestato. Nè a Busco né al datore di lavoro della vittima, Salvatore Volponi. Per quale motivo? «Perché Busco e Volponi non conoscevano l'esatta ubicazione di via Poma e, nelle perquisizioni delle loro case, non fu trovato nulla che li collegasse al delitto». Non solo. «Se avessi chiesto l'alibi a Busco, che era un teste collaborativo dal quale volevamo farci un quadro conoscitivo della vittima, ci sarebbe stato da parte sua un atteggiamento di chiusura. Invece la strategia investigativa in quella fase era raccogliere più informazioni possibili». Cavaliere e Del Greco hanno concordato su un dettaglio passato un po' inosservato: in via Poma c'era poco sangue e qualcuno aveva pulito. Un elemento che appare scontato ma che è stato contestato dai periti dell'accusa. E che porta a due conclusioni: l'assassino era un territoriale, e allora non è stato Busco; oppure qualcuno ha pulito dopo l'omicidio senza avere a che fare con il killer. Ma perché lo avrebbe fatto?

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