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"Picchiava la gente senza alcun motivo"

Omicidio in via Giuliotti al Laurentino, Roma

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Al sesto ponte del Laurentino 38 lo conoscevano tutti. Era il terrore del quartiere. Chi lo incontrava in strada abbassava lo sguardo nella speranza di non essere notato. Altrimenti si rischiavano schiaffi, calci e pugni. Senza motivo. E proprio questo è accaduto ieri pomeriggio, quando Massimiliano Garsevic, di 31 anni, ha preso di mira alcuni cittadini. Ma quella di ieri per il ragazzo è stata l'ultima aggressione: è stato ucciso da un vicino di casa esasperato dalle continue aggressioni. Gli ha sparato due volte nella sua abitazione dopo l'ennesima lite: la vittima è stata raggiunta dai proiettili alla fronte davanti agli occhi della moglie. Il marito è caduto in terra in una pozza di sangue senza vita. E mentre la donna urlava in casa, a pochi metri dal luogo della tragedia c'era chi invece stava addirittura applaudendo. Sì, perché alcuni abitanti del palazzo popolare del Laurentino non ne potevano più degli atteggiamenti violenti della vittima, tanto da arrivare a esultare quando hanno saputo che era stato ucciso. Insomma, in via Domenico Giuliotti si è consumata prima una tragedia e poi è esplosa la folle felicità di alcuni cittadini vessati da anni da quel ragazzo.   Gioia e rabbia si sono dunque mischiati in una strada di poche decine di metri, senza uscita, larga appena per far transitare una vettura: ai lati della via ci sono infatti gli alti palazzi del Laurentino, che ospitano i giovani, le mamme e gli anziani che per tanto tempo hanno subito la violenza di Massimiliano o hanno assistito alle aggressioni ai danni, a volte, anche di persone invalide. «Quello se la piava co' tutti, uomini, donne e vecchi - racconta uno dei ragazzi scesi in strada dopo l'omicidio - menava la gente senza motivo, bastava uno sguardo sbagliato o una parola di troppo e ti aggrediva. Quasi tutti i pomeriggi beveva, spesso anche di giorno». Molti dei vicini di casa non hanno esitato ad ammettere che bisognava avere paura solo a guardarlo negli occhi quando beveva e che nessuno aveva mai avuto il coraggio di reagire alle sue aggressioni. «Era una montagna, alto uno e novanta, tutti muscoli, era un culturista - dice Pasquale, uno degli anziani presenti al momento dell'aggressione di Massimiliano ai danni degli altri anziani del centro che si trova al piano terra del palazzo della tragedia - ha menato anche persone invalide, era impossibile calmarlo quando era ubriaco». C'è chi ha ricordato anche i momenti in cui era in casa con la moglie, con la quale litigava spesso. «È anche capitato che lanciasse dalla finestra i mobili. Quando sentivo di sera le urla in casa mi mettevo le cuffie per non sentire», dice l'inquilino dell'appartamento al piano di sopra della vittima. E ancora: «Quando non era ubriaco era anche gentile, salutava sempre e non dava fastidio a nessuno. Ma appena beveva di trasformava, diventava una belva, bisognava avere paura quando ti si avvicinava». Alcuni ragazzi, però, hanno descritto anche il carattere del ragazzo di 34 anni, Giancarlo Di Francesco, che ieri pomeriggio ha fatto fuoco. «È una persona tranquilla, un lavoratore, si vede che Massimiliano lo ha mandato fuori di testa - dice una ragazza - quando ha schiaffeggiato gli anziani nel centro sotto casa Giancarlo ha cercato di difenderli e a quel punto Massimiliano lo ha minacciato con un coltello. E dopo è successa la tragedia». Molti invece ieri pomeriggio non facevano altro che parlare dei tre figli di Giancarlo, chiuso in carcere.   «E adesso come fanno quelle creature a vivere? Chi le aiuterà adesso?», ripetono soprattutto le donne anziane che abitano nel palazzo dell'omicidio. Molti dei cittadini in strada non hanno esitato a puntare il dito contro la vittima. Come alcuni negozianti che hanno ricordato le aggressioni da parte di Massimiliano. «Entrava nel bar, beveva alle 4-5 del pomeriggio, si ubriacava e poi aggrediva i titolari o chi incontrava nel suo tragitto - ha detto Cinzia, una ragazza del quartiere - una volta l'ho sentito dire a uno sbirro che se non lo lasciava andare via gli staccava la testa e ci giocava a pallone».  

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