La folla non è sempre garanzia di protezione
.A farlo, riferendosi all'episodio accaduto all'Anagnina, è il sociologo Maurizio Fiasco. Qual è la sua analisi? «Partiamo dalla sequenza dei fatti, importante per un commento sensato. Durante la lite in biglietteria il giovane e la donna non hanno percepito la presenza inibitiva di un "pubblico". Bastava che qualcuno avesse banalizzato il diverbio per disinnescarlo sul nascere. Ma non è accaduto». Quindi? «I due hanno elaborato mentalmente le parole incivili che si erano scambiati ed è scattata l'escalation, oltrepassando il punto di rottura, la soglia di aggressività verbale. Lei ha reclamato. Lui ha replicato con il dileggio estremo, quello dello sputo». È importante questa fase? «Sì, la tragedia si consuma quando lui non ha inibizioni a sputare in faccia a lei e, alla mancanza di censura esteriore, si aggiunge quella interiore». Poi? «Lui prosegue nello squalificarla. Lei non accetta e reclama. Non gli dà uno schiaffo ma un semplice spintone. E qui c'è un salto di qualità: il pugno. Il diretto al volto senza questo passaggio non si spiega». Un gesto spontaneo? «No. Lui, nel frattempo, ha elaborato una fantasia del proseguimento dell'azione. Quindi il pugno è stato meditato, anche se in pochi secondi». Il suo commento a questo comportamento? «Bisogna essere consapevoli dell'imprevedibilità del rischio nei luoghi più banali e quotidiani, come il semaforo, il parcheggio, la fila alle Poste». Che cosa li rende pericolosi? «In questi luoghi, dove non abbiamo alcun ruolo particolare e nei quali non ci identifichiamo, ciascuno rinvia a un altro il compito d'intervenire. In tal modo possiamo sostenere il costo del non soccorrere trovando giustificazione in questo trasferimento di responsabilità». Non è stata allora la paura di essere coinvolti a bloccare i soccorritori? «No, è questo meccanismo. Perciò è indispensabile una progettualità specifica e accorta prima di creare spazi ampi e affollati, dove le persone sono indifferenti l'una all'altra e dove il meccanismo si può perpetuare».