Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Il killer di via Poma incastrato dalle nuove tecniche d'indagine

Simonetta Cesaroni

  • a
  • a
  • a

La realtà è molto lontana dalla fiction. I delitti veri non si risolvono solo in laboratorio, come accade nella serie Csi. Ma se Simonetta Cesaroni fosse stata uccisa cinque-dieci anni dopo, sapremmo con certezza l'ora della morte, gli ultimi contatti che la ragazza aveva avuto e, probabilmente, il suo carnefice avrebbe un nome e un volto. E questo vale per molti omicidi rimasti senza un colpevole, vittime soprattutto ragazze e donne, la maggior parte avvenuti nella Capitale. Cold case in parte archiviati e in parte «riesumati» alla ricerca di prove che, a distanza di decenni, spesso non corrispondono all'esigenza giudiziaria prevista dal codice, cioè andare al di là di «ogni ragionevole dubbio». È quanto emerso durante la presentazione del libro di Ugo Cubeddu, inviato del Messaggero in pensione, che si è svolta ieri nella sede della Federazione nazionale della stampa con la partecipazione dell'ex capo della Mobile romana (e della Scientifica) Alberto Intini, oggi questore di Benevento, della psicologa Maria Rita Parsi e del presidente dell'ordine dei giornalisti Bruno Tucci in veste di moderatore. Una scia di sangue lunga quarant'anni. Dieci delitti «perfetti», per gli assassini. Insoluti, per gli investigatori. Dal caso di Christa Wanninger, che risale al 1963, a quello di Serena Mollicone, ammazzata nel 2001, passando per i casi dell'Olgiata e Di Veroli. «All'ombra del palazzo» (Mursia editore, 211 pagine, 16 euro) li ripercorre con dovizia di particolari. E con una caratteristica che lo rende unico: fare emergere la personalità e la figura delle vittime, perché, come ha sottolineato l'autore, «il giallo sulla morte ne ha schiacciato l'identità e le molte ombre investigative le hanno messe ancora più in ombra». Ma torniamo a via Poma. L'omicidio dell'agosto '90, per il quale si sta celebrando un processo che vede imputato l'ex fidanzato di Simonetta, Raniero Busco, è rimasto insoluto per due decenni anche per una serie di difficoltà tecniche. Se l'autopsia fa risalire la morte alle 16,30, l'ultima telefonata tra Simona e l'impiegata dell'Aiag Luigia Berrettini la sposta alle 17,30. Ebbene, come ha spiegato Intini «adesso, attraverso le analisi dei tabulati del celullari, potremmo sapere molto delle telefonate fatte dalla Cesaroni nei suoi ultimi sei mesi di vita. E, dall'esame di quelli relativi ai telefoni fissi, conoscere con esattezza l'ora e la durata dell'ultimo contatto e, quindi, stabilire con certezza l'ora della morte. Dati, insomma, che sarebbero indispensabili per risolvere il caso. Dalla seconda metà degli Anni '90, inoltre, gli enormi progressi fatti dalla tecnica del Dna e la banca dati delle impronte digitali - ha concluso il questore - hanno rappresentato acquisizioni scientifiche fondamentali per gli investigatori». Ma quanto peseranno sul processo in corso questi «gap» tecnologici? Una risposta la offre Cubeddu, parlando nel suo libro di «tracce completamente trascurate, indumenti trovati a troppi anni di distanza e maneggiati da chissà quante mani». Nessuno, rileva infine il giornalista, ha dato molto peso alla caratteristica delle 29 coltellate. Un overkilling che racconta come «l'assassino» sia «un uomo malato, e molto gravemente». Un indizio «mai seriamente valutato». E ora - conclude Cubeddu, «temo che sia troppo tardi».

Dai blog