Metrò. Il pm chiede il processo
Sono passati quattro anni dall'incidente della metropolitana alla fermata di piazza Vittorio dove perse la vita la ricercatrice univesitaria di 30 anni Alessandra Lisi e rimasero feriti 452 passeggeri. Ieri la Procura di Roma ha messo nero su bianco le accuse: disastro colposo, omicidio colposo e lesioni gravi. Il pm Elisabetta Ceniccola hanno chiesto quattro rinvii a giudizio. Per il macchinista Angelo Tomei e tre dirigentia all'epoca dei fatti della società Metro: Gennaro Antonio Maranzano (responsabile dell'area esercizio e produzione), Roberto Gasbarra (responsabile del coordinamento del movimento metropolitane) ed Ernesto De Santis (capo servizio Metro A). Quella mattina, il 17 ottobre 2006, piazza Vittorio si trasformò in un vero e proprio ospedale da campo. Feriti sanguinanti che riemergevano dalle viscere della metro, sirene assordanti delle ambulanze e grida di terrore. Il treno che proveniva dalla fermata Manzoni non fece in tempo a frenare e si schiantò contro l'altro convoglio fermo a piazza Vittorio. Le accuse sono molto pesanti. Secondo i pm, il macchinista e i tre dirigenti avrebbero causato il ferimento dei passeggeri e la morte della ricercatrice trentenne della Sapienza «in cooperazione tra loro per colpa e imprudenza, negligenza e imperizia e in violazione delle norme che regolano la circolazione ferroviaria e le disposizioni impartite all'interno della Metro spa». Un incidente, quindi, che avrebbe dei motivi e delle responsabilità ben precisi. Il macchinista avrebbe disattivato «in carenza di presupposti, il sistema di sicurezza continuo Atp (protezione automatica treni, ndr) in maniera tale da superare il limite di velocità di 15 km/h, consentito dal segnale posto all'uscita dalla fermata Manzoni, che indicava rosso permissivo, senza far entrare in funzione il freno di emergenza e il blocco automatico». In queste condizioni Tomei avrebbe portato «il convoglio a 52 km/h, accorgendosi in ritardo dell'ostacolo, e pur frenando, andava a collidere con il treno fermo alla stazione di Vittorio Emanuele alla velocità di 42 km/h». I tre dirigenti invece, a seconda delle rispettive mansioni, avrebbero omesso di disporre «la prescritta piombatura delle selettive di bordo relative al sistema di sicurezza Atp». E addirittura avrebbero «indotto i macchinisti a non accumulare ritardi nell'espletamento delle corse sulla linea A e a percorrerla in un tempo inferiore a quello previsto in applicazione delle norme di sicurezza».