Ridateci gli italiani

{{IMG_SX}}«Rivogliamo i bambini italiani». I genitori stranieri degli alunni della elementare Pisacane sono i primi a battersi contro una «scuola ghetto». Siamo a Torpignattara, periferia est di Roma. Nell’istituto di via di Acqua Bullicante l’anno scolastico è iniziato all’insegna dei record: su 39 nuovi iscritti solo tre sono italiani. E nella «prima B» tutti gli alunni sono immigrati. Neanche un bambino romano. Alla faccia dell’integrazione. La Pisacane da quest'anno è stata accorpata all'istituto comprensivo Laparelli. Ma nulla è cambiato. Alle 7,50 la scuola apre i cancelli. I genitori arrivano alla spicciolata, mano nella mano con i propri figli. Sono di tutte le nazionalità. La maggior parte bengalesi e cinesi. Ma ci sono anche egiziani, nigeriani, siriani, romeni e polacchi. Gli italiani, invece, si contano sulla dita di una mano. «I romani non portano più i loro figli qui», racconta Tiziana, mamma di una bambina che quest'anno inizia il secondo anno. Ma come siamo arrivati a questo punto? «Noi romani eravamo già pochi prima. Il grande esodo però c'è stato dopo il Natale 2008, quando a molti genitori non è andato giù che nel presepe i personaggi fossero vestiti con abiti palestinesi». Allora i genitori presero carta e penna e scrissero al ministro Gelmini una lettera indignata: «I nostri figli hanno diritto a vivere la loro italianità con naturalezza e non come punizione. I Re Magi sono stati mischiati a minareti, moschee e donne col burka». Ma i primi a non starci e a chiedere una piena integrazione sono proprio gli stranieri. Francis Onabis, nigeriano, vive da vent'anni in Italia: «Mio figlio quest'anno fa la terza elementare. Il mondo è unico e ci vivono sia gli italiani che gli stranieri. Ciò che accade qui è sintomo di profonda ignoranza. Siamo rimasti agli anni '40». Il tetto del 30% per gli immigrati, introdotto dal ministro Gelmini, qui non è stato applicato. Hanno preferito ignorarlo. La maggior parte delle famiglie che portano i propri figli qui vivono da molti anni in Italia. Chiedono una cosa sola: essere integrati nella società. Bhuiya Lovely, è una mamma bengalese che da 11 anni abita a Roma. Porta il velo. Mentre sale i gradini della Pisacane con sua figlia si ferma e getta fuori tutto il suo disappunto: «La verità è che nelle altre scuole di questo quartiere i bambini stranieri non li vogliono. A me hanno detto che era meglio se venivo qui. Se alla Pisacane non ci sono italiani è perché vogliono che sia così». Le mamme e i papà iniziano ad essere preoccupati. Maria Koziarsky, assieme al marito, ha accompagnato sua figlia al primo giorno di scuola. Una famiglia di immigrati polacchi che ha scelto questo istituto perché gli è stato consigliato dai conoscenti. «Ci hanno detto che qui è stato fatto un po' di macello. Se ci accorgeremo che le cose non vanno nel modo giusto sposteremo subito nostra figlia». Issam Elgammal, egiziano, propone una soluzione: «Le scuole del territorio dovrebbero organizzarsi e dividere i bambini in giusta proporzione. Sono contento se i miei figli (ne ha tre, ndr) imparano anche il cinese dai loro compagni. Ma vorrei che facessero amicizia anche con gli italiani». Non tutti però sono ottimisti. C'è anche chi ormai è rassegnato. Asma è una giovane mamma siriana. Non si fa illusioni: «Il fatto è che i romani preferiscono portare i loro figli in altre scuole. Dicono che con tutti questi bambini che parlano lingue diverse è difficile portare a termine il programma». Intanto le maestre accolgono i piccoli alunni a braccia aperte. Poi squilla la campanella. Le lezioni hanno inizio. E nella prima B, la classe senza romani, i bambini si guardano l'un l'altro. E forse qualcuno si chiede: «Ma in che città siamo?».