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Addio alunni italiani Ecco la classe straniera

Il ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini

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Trentasei stranieri e tre italiani. Erano questi i numeri delle iscrizioni nella prima elementare della Scuola Carlo Pisacane, accorpata da quest'anno alla scuola Media Pavoni e trasformata così in Istituto comprensivo Laparelli. Numeri che si sono andati assottigliando, fino all'altro giorno, quando i genitori dell'ultimo bimbo italiano rimasto iscritto hanno chiesto, e ottenuto, il trasferimento. Torna così alla ribalta delle cronache il «caso Pisacane» la scuola che ha formato una prima classe esclusivamente con alunni cinesi e bengalesi e dalla quale, poco più di un anno fa, partì l'allarme dei genitori italiani. Nella scuola del quartiere periferico di Torpignattara le iscrizioni di alunni immigrati sfioravano il 90% ed erano 170 su 180. «Scuola ghetto», era stata ribattezzata da questo giornale. «Ghetto», perché l'integrazione sociale e culturale in un paese risulta assai improbabile quando in classe nessuno parla l'italiano, quando si cancella il presepe dal Natale, quando si vuole cambiare il nome di Carlo Pisacane, patriota del Risorgimento italiano con quello di un pedagogo giapponese, quando a pranzo si mangia il couscous al posto degli gnocchi. E i bambini stranieri continuano a parlare e a sentir parlare solo la loro lingua d'origine, senza possibilità di socializzare con i loro piccoli coetanei italiani. Una questione di buon senso, insomma, trasformata subito in lotta politica. A tal punto che l'associazione «Progetto Diritti» fece ricorso al Tar del Lazio contro l'introduzione del tetto del 30% di alunni stanieri in ciascuna classe. E infatti, una deroga l'ormai ex Pisacane l'aveva ottenuta: applicando il tetto Gelimini avrebbe chiuso i battenti. Le iscrizioni dei bambini italiani erano comunque troppo basse. Ora però su 39 nuovi alunni iscritti alla elementare, solo tre sono italiani. E in una delle due classi i 19 bimbi sono tutti stranieri, in maggioranza bengalesi e cinesi. «Contiamo di invertire il trend - ha detto la preside del Luparelli, Flora Longhi - Siamo fiduciosi, ci sono stranieri che si trasferiscono e lasciano la scuola per tornare nei propri paesi d'origine, anche se altri immigrati arrivano dal nord-Italia». Sul caso della prima classe composta interamente da alunni extracomunitari è intervenuto ieri il ministro all'Istruzione. «Il caso della scuola elementare romana dove tutti gli alunni sono stranieri dimostra che il tetto del 30% introdotto dal governo è una soluzione corretta - ha sottolineato Mariastella Gelmini -. Andrò a verificare nel caso di specie, per capire come mai ci ritroviamo con una classe di soli immigrati, dove l'unico italiano poi ha ovviamente deciso di cambiare scuola. Noi, proprio alla luce di situazioni come questa, per evitare il fatto che alcune classi, laddove ci sia una presenza di soli studenti immigrati diventino classi ghetto, abbiamo introdotto, tra le critiche e le polemiche, il tetto del 30%, non certo per discriminare gli immigrati, ma perché è un suggerimento che ci viene da chi ha esperienza, dai professori, dagli insegnanti che lavorano magari nelle periferie delle grandi città e si trovano ad avere a che fare con un tasso di immigrazione molto alta.   È provato nei fatti - ha aggiunto la Gelmini - che se si trova un equilibrio fra studenti italiani e studenti immigrati quella classe viene messa nelle condizioni di correre e quindi l'apprendimento funziona per tutti. Invece se creiamo classi di soli studenti immigrati il risultato è che non c'è nessuna integrazione e abbiamo visto che questo tetto del 30% è stato applicato nella maggior parte dei casi, in alcune situazioni limite invece del 30% abbiamo il 35%, ma è stato ancora una volta un provvedimento dettato non dall'ideologia, ma dal buon senso». Ed è invece proprio l'ideologia di una parte politica che, seppure fallita, punta ancora verso un'integrazione senza regole fino a presentare ricorso alla magistratura contro il tetto sugli alunni immigrati. E non può essere solo un caso se la scuola Pisacane si trova in una delle zone più «rosse» della Capitale.

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