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L'esercito dei clochard

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Clochard

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«I barboni sono randagi scappati dalle nostre case, odorano dei nostri armadi, puzzano di ciò che non hanno, ma anche di tutto ciò che ci manca... Chi di noi non ha sentito il desiderio di accasciarsi per strada, come marionetta, gambe larghe sull'asfalto, testa reclinata sul guanciale di un muro? E lasciare al fiume il suo grande, impegnativo corso. Venirne fuori, venirne in pace. Tacito brandello di carne umana sul selciato dell'umanità». Così la scrittrice Margaret Mazzantini nel libro «Zorro» edito da Mondadori, tira dritto allo stomaco raccontando la scelta e la vita di un clochard. Ma se non fosse una scelta? Se il vivere su un marciapiede, farsi i bisogni addosso, mangiare nei cassonetti fosse una conseguenza di una psiche «abbandonata»? Parte forse da qui la proposta avanzata l'altro ieri al ministro dell'Interno, Roberto Maroni, del sindaco Alemanno e dell'assessore capitolino alle Politiche sociali, Sveva Belviso, di rivedere a livello nazionale la legge sul «trattamento sanitario obbligatorio» e che, probabilmente, dovrebbe anche cambiare il nome in «trattamento assistenziale obbligatorio». «Attualmente per tutte quelle persone che hanno degenerazioni psichiatriche - spiega la Belviso - è previsto un trattamento sanitario obbligatorio di sette giorni prorogabile ad altri sette. A decidere è ovviamente lo psichiatra della Asl». In otto mesi, da gennaio ad agosto, dai dati forniti dall'assessorato alle Politiche sociali, le persone sottoposte a trattamento sanitario obbligatorio sono state 946. «Di queste solo una minima percentuale riguarda i senza tetto, o meglio - precisa l'assessore capitolino - i clochard. Chi vive in famiglia può contare sia su segnalazioni tempestive di manifestazioni del malessere psichiatrico sia su un'assistenza continua una volta terminato il trattamento obbligatorio. Invece, i clochard, vivendo in strada, non hanno nessuno né prima, per segnalare eventuali disagi, né dopo per garantire la continuità della cura somministrata obbligatoriamente nelle strutture per un massimo di 15 giorni. Questo significa, per molti di loro - continua la Belviso - interrompere l'assunzione dei farmaci necessari ed annullarne gli effetti dopo solo pochi giorni. Per questo, la nostra proposta è quella di allungare i tempi in modo da garantire un'assistenza obbligatoria in strutture realizzate ad hoc». Strutture «aperte» dove curare i clochard con accertate patologie psichiatriche degenerative e laddove «è la patologia a portare una persona a vivere in strada e dunque non si tratta di una libera scelta - continua l'assessore - Sei mesi sono un tempo indicato dai medici per riequilibrare una mente disagiata, poi spetterà ovviamente alla persona decidere se tornare a vivere in strada oppure no». A Roma i barboni «stabili» o storici sono circa 500. Si tratta di quelle persone praticamente «adottate» dai quartieri, quelle che mentre tutto cambia, restano dove sono, con i loro stracci e le loro bizzarrie. Poi ci sono gli altri, quelli che magari si fermano per qualche mese o per qualche anno o che preferiscono cambiare zona. «In tutto - afferma ancora la Belviso - possiamo dire che a Roma vivono circa mille persone intese come veri e propri clochard. Molti di loro rifiutano l'assistenza anche breve, come ad esempio nel periodo invernale e per questo nelle giornate particolarmente fredde apriamo le stazioni della metropolitana perché rifiutano anche di andare nelle strutture riscaldate provvisorie. Ovviamente nessuno andrà mai a prendere con la forza questi clochard per sottoporli ad assistenza obbligatoria. La nostra proposta mira ad ottenere strumenti più efficaci per curare le persone che non hanno la capacità psicologica di farlo da soli né qualcuno che può farlo per loro. Il nostro obiettivo è renderli liberi di scegliere la loro vita come meglio credono e quindi anche di tornare a vivere in strada».

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