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Nel 2006 il patto Prodi-Veltroni prevedeva stessi poteri e funzioni

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Siamoa ridosso delle elezioni che portarono al governo Romano Prodi e alla conferma del secondo mandato da sindaco di Walter Veltroni. Il protocollo siglato in pompa magna riguardava proprio la riforma per Roma Capitale, con la solenne promessa di approvare la legge entro cento giorni dal governo, qualora gli elettori avessero premiato il centrosinistra. Neanche una pagina e mezzo dove si riteneva «indispensabile» una riforma ad hoc. I punti sostanziali erano poteri, funzioni, risorse e responsabilità più ampie e maggiori rispetto agli altri comuni. Nel particolare si prevedeva l'ampliamento dell'autonomia statutaria, organizzativa e gestionale; una più ampia potestà regolamentare in alcune materie e settori, quali ad esempio il governo del territorio, l'urbanistica, la valutazione dell'impatto ambientale, l'edilizia pubblica e privata, le infrastrutture di trasporto e mobilità, la cultura, lo sviluppo economico locale, i servizi sociali, la polizia amministrativa locale. A veder bene quel documento squisitamente elettorale non differisce molto dalla bozza del decreto attuativo per le funzioni da attribuire a Roma Capitale. Difficile dunque comprendere critiche e polemiche su una riforma non solo attesa ma richiesta a gran voce proprio dalle giunte Rutelli e Veltroni che per 15 anni hanno amministrato il comune più grande d'Europa con le armi spuntate. Strumentalizzare ora il traguardo storico che stanno per raggiungere il governo Berlusconi e il sindaco Alemanno può rivelarsi un boomerang politico senza precedenti. Un punto ben compreso dal Pd capitolino che non solo ha contribuito a migliorare la stesura della riforma ma ha poi votato all'unanimità il testo finale. Una responsabilità politica negata dall'astensione dei parlamentari romani del Pd. S. N.

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