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Appello sul lenzuolo per trovare il pirata

L'appello per ottenere informazioni sull'incidente del Muro Torto

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 «Quel furgone mi ha stretto. Ho provato a spostarmi a destra, ma c'era una macchina parcheggiata e non ce l'ho fatta. Quello sul furgone mi ha tagliato la strada ed è scappato».Le ultime parole di Saverio Falchi sono per il suo assassino: il pirata che il 22 luglio l'ha scaraventato col suo scooter contro un'auto parcheggiata sul Muro Torto. E l'ha ucciso. Erano le due del pomeriggio: poche macchine in strada, pochi testimoni in grado di raccontare l'accaduto. Di certo c'è solo che Saverio, che avrebbe compiuto 38 anni sabato prossimo, ha fatto appena in tempo a riaprire gli occhi, dopo la violenta caduta sull'asfalto, per raccontare l'incidente a quelli che nel frattempo gli erano corsi incontro. L'ultimo soffio di vita l'ha speso per gridare la sua verità davanti a una piccola folla di sconosciuti. Già, perché quello che fino ad oggi sembrava un banale incidente con un «centauro» che perde il controllo del mezzo, grazie alle indagini della famiglia e al lavoro di un team di avvocati ora si scopre essere un omicidio commesso da un «pirata». Con tanto di omissione di soccorso.   Sono stati loro, i parenti, a stendere sul Muro Torto un lenzuolo bianco con un appello per gli eventuali testimoni e i numeri di telefono da chiamare. Un tentativo disperato che in parte è servito: qualcuno che quel maledetto pomeriggio si trovava a passare di lì, nei giorni scorsi si è fatto vivo. È così che i familiari hanno scoperto che Saverio non era morto per una sua imprudenza ma per colpa di uno sconosciuto. Qualcuno che, subito dopo avergli tagliato la strada, è riuscito a far perdere le sue tracce. «Un automobilista ha assistito alla scena e ha raccolto le ultime parole di Saverio - spiega l'avvocato Paolo Bacalini - La prossima settimana farà una deposizione ufficiale».   Grazie a questa persona è stato possibile ricostruire gli ultimi minuti di vita di Falchi. Il centauro era in sella al suo motorino, un SH 150, e stava andando a prendere la moglie al lavoro in un'agenzia di credito poco distante. All'altezza del parcheggio di Villa Borghese l'incidente con un furgone di colore chiaro: bianco, forse grigio. Nessuno, a quante pare, ha annotato la targa. Inutile l'intervento di un medico che si trovava a passare di lì e che gli ha prestato i primi soccorsi. Inutile, pochi minuti più tardi, l'arrivo dell'ambulanza. Quando la moglie, preoccupata per il ritardo, ha cominciato a chiamare Saverio al cellulare, le ha risposto uno degli infermieri. La speranza che tutto potesse risolversi con qualche frattura si è spenta due ore dopo in ospedale, alle 16,30, quando i medici hanno comunicato la tragica notizia. Ora la sua famiglia vuole giustizia.   D'altronde Saverio non era certo un principiante delle due ruote. Trentasette anni, di cui venti passati a correre in pista, tra Vallelunga e il Mugello, su cilindrate ben più potenti di quel 150 che usava per la città. Appassionato di moto, aveva collezionato nel tempo patenti di guida sicura e veloce ed era un centauro «professionista». Uno che di certo non aveva problemi a percorrere la salita del Muro torto a 60-70 chilometri orari. Che ci fosse qualcosa di strano è apparso chiaro fin da subito ai parenti, che conoscevano bene le capacità di Saverio. Per questo hanno cercato i testimoni lanciando loro un appello scritto a caratteri cubitali su un lenzuolo bianco.

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