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Al Grassi più zanzare che medici

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ValeriaCostantini La carenza di personale all'ospedale Giovan Battista Grassi di Ostia diventa drammaticamente tangibile, quando si trascorrono dodici ore spalla a spalla con i medici e gli infermieri del pronto soccorso. Visti dal «fronte», quello al di là di porte scorrevoli dove lavora il volenteroso manipolo di camici verdi, i pazienti sembrano una marea umana. Sono tanti, tantissimi. Quattrocento soltanto quelli che nel fine settomana di Ferragosto sono ricorsi alle cure del Dipartimento emergenze. In prima linea cinque infermieri e un paio di medici ogni turno. Basta l'arrivo di due pazienti in «codice rosso», cioè in pericolo di vita, e il pronto soccorso si blocca. Ai malati in condizioni meno gravi non resta che attendere. Dopo qualche ora trascorsa con la squadra del Grassi termini come «sala rossa», quella delle emergenze, e «camera calda», l'atrio per le ambulanze, diventano familiari. È come essere catapultati in una puntata di «E.R.», dove ti ritrovi a tifare per il dottore. E quindi per la vita. Ad accomunare tutti, un'unica, interminabile tortura: le zanzare. Nella «sala medica» una trentina di barelle a privacy zero, uomini e donne mezzi nudi e sofferenti condividono lo spazio senza aria condizionata, spenta per lavori di restrutturazione. Solo le tendine, tirate dagli infermieri, offrono riparo a un anziano impegnato con la «padella». «Le emergenze arrivano a ondate - spiega il dottor Maurizio Lopalco, da tre anni all'ospedale di Ostia – Qui c'è tutta gente che lavora con passione e umanità. Siamo come una famiglia, una squadra che serve a non perdere la sala oppure ad anticipare il paziente». Gergo da pronto soccorso che significa «necessità di controllare il caos». Poca anche la sicurezza. Con il presidio di polizia chiuso a Ferragosto, c'è un solo vigilante a monitorare ubriachi e violenti. «Siamo troppo pochi – dice Anna Ciaravolo, guardia giurata e sindacalista Uil – Fino a due anni fa eravamo sette la mattina, quattro il pomeriggio e quattro la notte». La carenza di personale incide pure sui pazienti più a rischio, i bambini: hanno sempre la precedenza, ma il pediatra deve arrivare dal reparto al piano di sopra, già sguarnito di medici e superaffollato di baby-malati.

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