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Poliziotto e restauratore Buzzanca fa un altro ciak

Lando Buzzanca sul set di piazza di Pietra a Roma (foto Gmt)

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Piazza di Pietra. Ore 16 e 54 minuti. Un uomo alto e brizzolato cammina zoppicante. Indossa una paio di jeans e un giubbotto di pelle marrone. Ha una pistola in mano. È stremato. Disperato. Davanti a lui, a terra, due giovani mascherati. Più in là la loro moto ribaltata sull'asfalto. La mano, ferma, si leva dal fianco. Per puntare l'arma. Nel silenzio. Rotto da uno sparo che rimbomba tra le colonne del Tempio di Adriano. «Eeeee stooop! Rifacciamola». Inizia così la nuova serie per Rai1 del regista Giorgio Capitani. S'intitolerà «Il Restauratore» e andrà in onda la prossima primavera. Dodici puntate da cinquanta minuti trasmesse in sei serate. L'uomo brizzolato è Lando Buzzanca, costretto a uccidere quei due a pancia sotto sui sanpietrini di piazza di Pietra per vendetta. Perché hanno ucciso sua moglie durante una rapina. Lui, poliziotto in quel momento fuori servizio, non resiste alla fame di rivalsa. Gli costerà vent'anni di carcere. Lì, nelle celle dove ancora si devono accendere le telecamere, Buzzanca imparerà un nuovo mestiere: il restauratore. E scoprirà di avere doti soprannaturali. Toccando gli oggetti può conoscere il futuro. Storie umane. Buie. Criminose. Che grazie ai suoi poteri potrà risolvere pochi istanti prima che amici, compagni e sconosciuti vengano travolti dal destino. È una storia di speranza quella del Restauratore. Dove un uomo «finito» si mette al servizio del prossimo per riportare giustizia nella società come a dire: ognuno di noi può fare qualcosa per tendere la mano. Certo, la mano di Buzzanca non è come tante altre. È la mano che tocca il futuro. Un elemento centrale della serie, che riporta in Italia quel modo di fare fiction, almeno nei contenuti, echeggiato in tutto il mondo dall'America. E intanto piazza di Pietra, a un passo dalla sede de Il Tempo di piazza Colonna, diventa un set a cielo aperto. Mentre Buzzanca gira i prima ciak del prologo del Restauratore, turisti e romani si mettono in coda per rubare uno sguardo. Scattare una foto. Magari un autografo. I tecnici sembrano in fibrillazione. Le luci s'accendono e fanno più luce di questo sole agostano. Lando è lì con il suo giubbotto di pelle marrone che ripassa la parte. «Mi ricordo - dice alzando gli occhi dal copione - che già nel 1960 leggevo Il Tempo. Il direttore Angiolillo mi scriveva delle lettere per aiutare i bambini bisognosi, che ancora custodisco nel mio cassetto». Lando ricorda i suoi primi anni da attore: «Leggevo il giornale di piazza Colonna per migliorare la mia dizione. Mi esercitavo. Provavo anche delle dizioni differenti per interpretare, ad esempio, uno straniero».  

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