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Sul seno di Simonetta il morso di Busco

Raniero Busco, ex fidanzato di Simonetta Cesaroni, uccisa con 30 coltellate il 7 agosto 1990 a Roma a via Poma

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Simonetta Cesaroni è stata morsa al capezzolo sinistro dal suo aggressore, il 7 agosto del 1990, negli uffici dell'Associazione Ostelli della Gioventù, in via Carlo Poma 2. E l'impronta dei denti che hanno inferto le ferite al seno corrisponde con l'arcata dentale di Raniero Busco, unico imputato nel processo per l'omicidio di Simonetta Cesaroni. Ne sono certi i consulenti del pm Ilaria Calò, che ieri hanno testimoniato di fronte alla III Corte d'Assise, nella tredicesima udienza. Il primo ad accorgersi del morso fu Ozrem Carella Prada, direttore dell'obitorio dell'istituto di medicina legale della Sapienza e consulente della procura, che ieri ha ricordato i dettagli dell'autopsia che fece nel '90 su Simonetta. «Alle 2 di notte (dell'8 agosto, ndr.) feci il sopralluogo. Mi accorsi subito che era un delitto efferato - racconta Carella Prada - La ragazza era riversa, supina, a terra. Indossava un reggiseno e un top». Sul suo corpo 29 coltellate. «Sono state inferte mentre era a terra, il sangue andava verso il collo. La coppa sinistra del reggiseno era abbassata». Il consulente spiega che i colpi «da taglierino» sono stati inferti «da una persona non mancina, agile e non anziana». Quindi la sua attenzione si è spostata sul seno sinistro: «Il capezzolo era deformato, a forma di goccia con delle lesioni». Carella Prada ricorda anche il volto tumefatto di Simonetta, sul profilo destro. L'aggressore, spiega, la deve aver colpita con la mano sinistra quando era in piedi, mentre nella mano destra aveva l'arma bianca. Simonetta è caduta e sono state inflitte 29 coltellate, più il morso. È attraverso la comparazione dei denti di Busco con i segni sul capezzolo che i consulenti (medici odontoiatri) puntano l'indice contro l'ex fidanzato della ragazza. Che stavolta esce dall'aula stravolto. E per la prima volta dall'inizio del processo si è sfogato: «È una sofferenza. La mia vita si è fermata». Deve prendere fiato.   «Non ho dato morsi. Contro di me non ci sono prove. È tutto basato su ipotesi che non fanno altro che aumentare dubbi che già ci sono. No, non mi sento tranquillo, ma ho fiducia. Io non ho fatto niente, la mia forza è l'innocenza», ha detto lasciando l'aula seguito dal suo avvocato che chiede con forza la testimonianza di Salvatore Volponi, allora datore di lavoro di Simonetta. Ma Volponi, che ieri si sarebbe dovuto presentare al banco dei testimoni, era di nuovo assente a causa del suo stato di depressione e ansia. Il suo avvocato, Maria Antonella Lamazza, ha presentato il certificato medico. Il primo ottobre, giorno della prossima udienza, Volponi avrà l'ultima occasione per raccontare la sua verità sul delitto di via Poma. Poi l'accusa lascerà la parola ai testimoni della difesa.

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