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«Nostro figlio morto affogato e non sappiamo ancora perché»

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MaurizioGallo m.gallo@iltempo Nelle sue vene scorreva sangue sherpa, le guide nepalesi dai muscoli d'acciaio. Era l'ultimo bambino che Madre Teresa di Calcutta aveva portato in Italia per colmare il vuoto nei cuori di una coppia romana. Iolanda e Paolo lo avevano accolto come un regalo prezioso e, anche se quel dono era diventato un calvario perché il piccolo Daniel s'era ammalato di miocardite, era andato in coma ed era rimasto disabile, erano felici di poterlo veder crescere al loro fianco. Non solo. Grazie alla sua tempra di montanaro, migliorava mese dopo mese, anno dopo anno. Tanto da partecipare con successo a campionati di corsa ad ostacoli malgrado i danni cerebrali e l'emiparesi seguita al mese di oblio in un lettino del Bambino Gesù. La scorsa estate, però, il sogno realizzato dai coniugi Cenciotti è affondato assieme a Daniel nelle acque del lago di Martignano dove il ragazzo, ormai sedicenne, partecipava a un'iniziativa del XIX Municipio con altri undici portatori di handicap. Una morte con molti punti non chiariti dall'inchiesta, che si è conclusa con il patteggiamento della pena da parte dell'operatore della coop che aveva in custodia il ragazzo. A un anno dalla sua scomparsa (domani alle 10,30 ci sarà una messa in suffragio nella chiesa Nostra Signora di Guadalupe, nell'omonima piazza), Iolanda e Paolo cercano ancora di far luce sulla tragica fine del figlio. Per un senso di giustizia. Perché non succeda ad altri. E perché, sottolineano, «non sapendo che cosa è veramente accaduto, non riusciamo neanche a elaborare il nostro dolore». La mattina del 17 luglio 2009 a Martignano ci sono 12 ragazzi e 12 assistenti della cooperativa del «Consorzio Solidarietà Sociale». Daniel, che non sa nuotare, ha con sé un giubbetto salvagente. Ma nessuno glielo fa indossare. Improvvisamente, poco dopo l'arrivo del gruppo sul posto, il ragazzo scompare. Nessuno lo avrebbe visto entrare in acqua, tanto che lo cercano a lungo nel bosco. Andrea, il volontario al quale è affidato, si era allontanato dicendo ai «colleghi» di dargli un'occhiata. Poi le ricerche si spostano nel lago e i bagnini di un vicino stabilimento si tuffano e lo tirano a riva. È passata mezz'ora. E però Daniel è ancora miracolosamente vivo. Trasportato in ambulanza all'ospedale di Bracciano e poi, in elicottero, in quello del Gianicolo, morirà alle 20,30. Il 13 aprile scorso Andrea patteggia la condanna a un anno e un mese. Ma le domande di Iolanda e Paolo non hanno ancora risposte. Perché il figlio è rimasto incustodito? Perché non indossava il salvagente? Che cosa è successo in acqua, ha litigato con qualcuno dei ragazzi? Perché lo hanno cercato nel bosco e non nel lago, dov'era più verosimile fosse finito? Perché, infine, una giovane autistica che aveva detto «Daniel affoga, aiutatelo!» non è stata ascoltata? Perché non l'hanno portato direttamente a Roma in eliambulanza? Insomma, perché Daniel è morto?

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