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Non che la pajatina d'abbacchio non sia buona, anzi.

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Ese le nonne non protestano, ci pensano noti cuochi capitanati da Anna Dente, ambasciatrice della cucina romana nel mondo per volere del sindaco. «Aridatece la pajata», ha detto ieri nel corso della presentazione della guida ai ristoranti di Roma di La Repubblica. «Se non ce la ridanno continueremo a cucinarla sottobanco. Ci arrestassero pure». Al che Alemanno è sceso in campo: «È un problema europeo. È in corso una trattativa del Ministero delle Politiche agricole che avviai io stesso per convincere l'Ue a reintrodurre il piatto». In verità si tratta di un finto problema. Finto perché la vera pajata, quella di latte, proviene dalla macellazione di bovini sotto agli 8 mesi. In Italia, oggi, simili bestiole non si trovano, specialmente con la crisi. Con i costi di macellazione che ci sono se lo possono permettere solo i nababbi. Le carni bovine «bianche» provengono tutte, già confezionate, dal Nordeuropa, dove buttano l'intestino e non mangiano la pajata. Ecco quindi il finto problema. La pajatina non è scomparsa a causa della mucca pazza. È solo difficile da trovare. Così difficile che per non rischiare di sentirsi ripetere la famosa frase del Marchese del Grillo, i ristoratori preferiscono ripiegare sull'abbacchio. A proposito: dal 1 agosto chiude il centro carni di via Togliatti. Questo sì che è un problema.

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