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Delitto via Poma, Volponi vide Simonetta e disse: "Bastardo"

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Pietrino Vanacore con la moglie Giuseppa De Luca

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«Bastardo». Una parola che potrebbe nascondere qualcosa. O niente. Ma che, sicuramente, suscita più di un sospetto. E in una storia come quella di via Poma, ricca di presunti retroscena, di colpi di teatro, di indagati poi prosciolti e sulla quale ha aleggiato a lungo l'ombra dei servizi segreti, i sospetti sono materia di riflessione. A pronunciarla sarebbe stato l'ex datore di lavoro di Simonetta Cesaroni, Salvatore Volponi, subito dopo aver scoperto il cadavere della sua dipendente. A rivelarlo, per la prima volta in vent'anni, è stato Mario Vanacore, figlio del portiere che si è tolto la vita a marzo in Puglia. Volponi, che già aveva dato forfait due volte per motivi di salute, ieri a Rebibbia c'era. Ma ha chiesto di rinviare la sua deposizione perché non stava ancora bene. Non solo. Giuseppa De Luca, vedova di Pietrino, ha confermato quanto già dichiarato a suo tempo: «Quella sera (il giorno del delitto ndr) Volponi mi chiese se mi ricordavo di lui - ha raccontato - Io l'ho riconosciuto perchè veniva lì quando facevano le riunioni, ogni 15 giorni circa, insieme a tutti gli altri». L'ex datore di lavoro della vittima, invece, ha sempre dichiarato di non sapere dove si trovasse la sede regionale dell'Aiag. La sera del 7 agosto del '90 lo negò anche alla sorella di Simona, Paola, che la cercava preoccupata perché era in ritardo. Una «dimenticanza» che fece ritardare il ritrovamento del corpo senza vita della poveretta di almeno tre ore. La De Luca ha anche ricostruito quel maledetto martedì pomeriggio: «Quel giorno ho visto uscire di casa una persona bionda, ma non un giovane. L'ho visto di spalle ma posso dire che era un uomo di una certa età e che aveva una busta nera in mano - ha detto - È una bugia che io non diedi le chiavi quando la polizia me le chiese. Le diedi subito. Le avevo in mano». La vera «novità» della decima udienza, però, è emersa durante la deposizione di Mario Vanacore. Dopo essere entrato nella stanza dell'assassinio e aver visto Simonetta a terra, Volponi si mise le mani in testa e disse: «Oddio, oddio! Bastardo!», ha dichiarato Vanacore junior. «Volponi venne a bussare in portineria e ci chiese di salire negli uffici dell'Aiag - ha riferito Mario Vanacore - Alla mia matrigna domandò: Si ricorda di me? E lei rispose: Sì, adesso che la vedo, mi ricordo». Quindi il gruppo salì al terzo piano e Volponi entrò nell'ufficio. Fece una prima, parziale perlustrazione e non si accorse di nulla: «Ci disse che non c'era niente», ha spiegato ancora il teste. «Noi gli dicemmo di controllare anche nelle altre». Lui, dopo essere uscito dalla camera del direttore dove si trovava il cadavere, pronunciò tre parole: «Oddio, oddio! Bastardo!». A chi era riferito l'insulto? Perché l'uomo lo declinò al singolare? «Ci deve dire chi è, o chi ritiene possa essere stato ad uccidere Simonetta», è il commento fuori udienza di uno dei legali della famiglia Cesaroni, Lucio Molinaro. Volponi è lì, seduto finalmente sul banco dei testimoni. E potrebbe spiegare il senso di quella parola, ammesso che ne esista uno. Ma non lo farà. Il suo difensore, Maria Antonietta Lamazza, chiede un rinvio per consentire allo staff medico che lo segue da tempo di valutare la sua capacità a testimoniare. La III Corte d'assise, presieduta da Evelina Canale, lo accorda. Qualcuno propone di interpellare anche il il diretto interessato. Lui sceglie di nuovo il silenzio: «Preferisco aspettare - dice - perché non sono in condizioni...». Si dovrà ripresentare in aula il 19 luglio.

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