Il rugby riconquista lo stadio
Il Tormento e l'Estasi. il titolo del film su Michelangelo e la cappella Sistina e del romanzo che lo ispirò si presta egregiamente a descrivere la situazione attuale degli impianti romani dedicati al rugby, una disciplina che vive nella Città Eterna il disagio della cronica penuria di campi a fronte di un dilagante successo di base (i vivai delle società romane prosperano) e di vertice (il Sei Nazioni è una realtà ormai affermata). Cominciamo dalla notizia positiva che riguarda il Tre Fontane dell'EUR. La storica sede della Rugby Roma riapre dopo un periodo di chiusura determinato da un contenzioso relativo alle utenze idriche. L'accordo firmato dal Comune proprietario, da CONI Servizi concessionaria dell'impianto e dalla Rugby Roma pone fine alla querelle che ha visto il sodalizio bianconero e i ragazzi del proprio vivaio (oltre 400) ingiustamente privati della propria casa sul finire della stagione. La perizia del Tribunale richiesta dal presidente dalla Roma Abbondanza ha sancito l'esistenza di falle mai riparate che rendevano insostenibili i costi delle bollette. Peraltro, secondo una procedura discutibile, alla Roma veniva chiesto di pagare senza poter prendere visione delle bollette e del contratto dell'utenza. Ora il Comune, decisivo il ruolo di mediazione dell'Ufficio Sport del Delegato Cochi, procederà a stipulare concessioni separate con la Rugby Roma e con le federazioni di pattinaggio, basket e hockey interessate al centro sportivo, risolvendo una questione che aveva privato l'intero quadrante di Roma sud di uno dei pochi impianti efficienti per diverse discipline. Proprio nel periodo in cui Roma ha vinto la corsa con Venezia per candidarsi ai Giochi Olimpici 2020 un segnale importante da parte di un'Amministrazione che deve cambiare marcia in termini di impegno per lo sport della città. E veniamo al tormento che riguarda il Flaminio, i lavori di ristrutturazione relativi, e la locazione del Sei Nazioni nella Capitale che tanti mal di pancia provoca al di sopra del Po. Il successo di seguito, di pubblico ed economico del Torneo non può essere messo in discussione, così come la sede a Roma (anche nelle altre nazioni si gioca nelle capitali, n.d.r.). Eppure, alcuni ritardi nelle procedure offrono il destro al presidente FIR Dondi di dare fiato al «vento del nord» e tornare a minacciare (per ora sottotraccia) lo spostamento a Bologna e, in futuro, a Venezia. Anche nel corso dell'ultimo Consiglio Federale della FIR Dondi è tornato a tuonare sui ritardi circa i lavori dell'area Hospitality, tornando ad agitare lo spettro dello spostamento del Sei Nazioni al di sopra della Linea Gotica. Detto che mettere le mani su un monumento nazionale vincolato al parere delle Sovrintendenze come il Flaminio è operazione che richiede tempi tecnici ragionevoli e diversi da quelli che occorrono - per esempio - per cambiare destinazione ad un terreno agricolo nella pianura padana, sarebbe delittuoso da parte dell'Amministrazione di Roma - che pure molto ha già fatto - permettere al «vento del nord» di continuare a spirare. Proprio oggi è in agenda un incontro tra tecnici sullo stato dei lavori dei quattro lotti in cui sono articolati, mentre in settimana è previsto un incontro tra Dondi e il Delegato allo Sport On. Cochi che dovrebbe sciogliere il nodo relativo all'adeguamento dell'area Hospitality richiesto dall'organizzazione del Torneo. Questi sono i primi passi per avviare i lavori di ristrutturazione già approvati dal Comune e dalla famiglia Nervi grazie alla mediazione del consigliere federale Bernabò. Sarà meglio sbrigarsi.