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Il rally in bicicletta lungo il Tevere

I pericoli lungo la ciclabile del Tevere

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Prendete un fuoristrada. O una moto da cross. E iniziate il vostro percorso sulle piste ciclabili della Capitale. Serviranno: capacità sciistiche per uno slalom tra i pali della luce, prontezza per schivare le buche, una molletta per il naso (utilissima contro i rifiuti) e pazienza. Ma alla fine, in qualche modo, si arriva al traguardo. Usare la bicicletta sulle piste ciclabili di Roma può diventare un'impresa. Il percorso, il più importante, quello che costeggia il Tevere, nasconde più di un'insidia. Per fortuna alla Magliana sono stati sgombrati gli insediamenti abusivi dei nomadi. Un tempo c'era da aver paura. Gli zingari sbucavano dai cespugli sul tracciato rosso per gridare «mani in alto!» agli sportivi del XV Municipio. Il quartiere, e tutta la città, non scorderà mai l'uccisione a bastonate di Luigi Moriccioli, mentre pedalava sereno. L'aggressione avvenne proprio lì. Dove un'altra pratica assodata era l'invasione di motorini impazziti sulla zona pedonale. Loro non ci sono più. Ma è scomparso anche il rosso della pista. S'intravede, a esser attenti, la segnaletica che divide le due mini-corsie. Ma, in realtà, è chiaro che qui la manutenzione latita da un po'. O non si noterebbero anche quelle panchine di legno senza qualche stecca. Con un po' di intuito, basta seguire gli argini del fiume, si sbuca a Marconi. Si «risale in superficie». Dalla banchina alla strada. A Lungotevere di P. Papa si salta da un marciapiede all'altro. Non il massimo su due ruote. Anche perché qui non c'è una vera pista, ma un marciapiede con una striscia bianca tratteggiata in mezzo. Inoltre una delle due corsie impatta, a intervalli di cinquanta metri, con un palo della luce. Ed ecco che il «Giro di Roma» diventa uno Slalom Gigante. Superato, c'è una buona possibilità di arrivare in fondo. Ma ecco che un chilometro più avanti si perdono le tracce della pista. A un passo dal Ponte dell'Industria c'è la scritta: «Portare la bicicletta a mano». E una scala. Si deve tornare sulla banchina del Tevere. Stavolta però è necessario alzare le due ruote di peso, portarle giù e proseguire sulla pista. Poi tutta dritta fino all'Isola Tiberina. Il tracciato qui è ben curato. La passeggiata, la corsa e la pedalata sono piacevoli. Fin quando, al ponte inglese, il percorso sembra interrompersi. In realtà è possibile continuare, ufficialmente è ancora pista ciclabile, ma non c'è più la segnaletica a terra. Al suo posto una lingua d'asfalto che si alternerà a semplice mattonato e sanpietrini, fino al ponte del Risorgimento. Lungo questo tratto si trovano numerose buche e un'imprevedibile quantità di rifiuti e tronchi mozzati dal Tevere in piena dei giorni scorsi. Si arriva quasi davanti l'Olimpico e si «riemerge». Due chilometri con la pista quasi a norma: striscia rossa a terra e distanza tra le due corsie corretta. Peccato che il Lungotevere, alberato più di ogni altra strada, è un serpeggiare di radici che a volte spaccano l'asfalto ciclabile. Meglio, sicuramente, di quando si arriva di fronte allo stadio. Tra le buche il sentiero si fa tortuoso. Si sale e si scende dalla banchina con troppa frequenza e a volte, uscendo in strada, si finisce a contatto con i pedoni. A causa dei lavori in corso, come quelli per il nuovo ponte pedonale sul Tevere. Ma anche perché il circuito prevede per natura tratti «a rischio», con le auto su via di Tor di Quinto che sfrecciano ad alta velocità sfiorando gli sportivi. Poi i ciclisti rientrano, lontani dal rumore del traffico. E via verso il Raccordo per vedere in fondo all'ultima pedalata la bandiera a scacchi. Neanche fosse un rally.

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