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Indagata la trans Natalì per la coca ceduta a Piero

Natalie, uno dei trans implicati nel caso Marrazzo (Foto GMT)

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Erano due anni che i carabinieri della Compagnia Trionfale tentavano di incastrare l'ex governatore del Lazio Piero Marrazzo. Il politico è stato dunque vittima di una trappola organizzata dai militari indagati per la presunta estorsione ai suoi danni. È stata la transessuale Natalì a ricostruire al gip, durante l'incidente probatorio, la vicenda che ha coinvolto Marrazzo per il video girato nell'abitazione in via Gradoli 96 lo scorso 3 luglio. La brasiliana, però, durante la sua deposizione, ha dichiarato di aver procurato più volte cocaina all'ex governatore durante gli incontri a luci rosse. E che i carabinieri quel giorno volevano 100 mila euro da Marrazzo. Appena ha pronunciato queste parole, il gip ha interrotto la deposizione e ha iscritto sul registro degli indagati Natalì. La trans ha comunque voluto, a quel punto, continuare a rispondere alle domande del giudice, anche se si sarebbe potuta avvalere della facoltà di non rispondere. E a quel punto ha raccontato che Marrazzo, durante i diversi incontri, le ha donato ventimila euro per aiutarla ad acquistare un palazzo in Brasile. Nel corso dell'interrogatorio Natalì ha anche parlato del video girato nella sua abitazione sulla Cassia, sostendo che non conosce la durata del filmato registrato dai carabinieri «infedeli». Ancora da chiarire chi abbia avvertito i militari della presenza di Marrazzo in casa della trans. Nel corso dell'incidente probatorio davanti al gip Renato Laviola erano presenti anche i carabinieri Nicola Testini e il collega Carlo Tagliente. Natalì, inoltre, ha attaccato le altre transessuali coinvolte, a vario titolo, nell'inchiesta. «Le altre colleghe, per invidia e gelosia, hanno detto che nella trappola c'entravo io. Non è assolutamente vero, io ho sofferto per questo e anche per quanto accaduto a Piero che è una brava persona. Gli avvocati dei carabinieri, quando mi accusano, si dimenticano di dire che i loro assistiti prendevano informazioni da Joice e da una ungherese. Queste due e China dovrebbero guardarsi allo specchio, facevano da informatori. E invece le colpe ricadono su di me. Il 3 luglio in casa mia non c'era droga, non c'erano altri trans e soprattutto non c'era Gianguerino Cafasso (il pusher morto a settembre ndr.), c'eravamo solo io e Piero».

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