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Tre frammenti di intonaco, neanche un metro quadrato, e trema Roma.

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IlColosseo che crolla, come un funesto Big Bang che cancella la civiltà. Un'ossessione ricorrente. Turba l'immaginario collettivo. Dei capitolini veraci e meticci, ma pure degli yankees obamiani, dei tories appena impiccati, degli occhi a mandorla intruppati in massa a scoprire i ruderi nostrani adesso che da loro non usa più fare arcani harahiri. Il Colosseo non è di questa città, è del mondo. Le arcatone che corrono a labirinto, la chiocciola degli ambulacri visti dall'alto sono un logo buono per tutto, dalla t-shirt al timbro degli sponsor, quelli che ci devono aiutare - sia con gli yen di Hatoyama sia con i soldi di Della Valle - a racimolare i 23 milioni di euro che in quindici anni scacceranno l'incubo del Grande Crollo. Perché insomma, lo diceva già il venerabile Beda undici secoli fa: «Finché sta in piedi il Colosseo sta in piedi Roma e il mondo. Quando cade il Colosseo cade Roma e il mondo». Apocalittica profezia, ridimensionata un po' dalla globalizzazione. Ma l'anfiteatro che richiama ogni anno cinque milioni di visitatori è superstar perché è una perfetta immagine mediatica. Un'icona della comunicazione. Che ne sarebbe della Via Crucis rimandata dal satellite sugli schermi di tutto il mondo cristianizzato, nel sud, nell'ovest, nell'est del pianeta, se non ci fosse quello, e quel solo sfondo? Lo scelse papa Benedetto XIV, nel Settecento, immaginando che oltre quelle arcate, insieme ai condannati a morte, trovassero martirio anche i primi seguaci di Gesù. Continua a sceglierlo adesso la Chiesa di Roma e le telecamere rilanciano un set impareggiabile. Ci fu qualche deluso, due anni fa, quando il Colosseo, in un curioso sondaggio via Internet, fu giudicato la sesta meraviglia del mondo, intendendo per prima la Granda Muraglia Cinese. Ma già, forse era un segno del grande balzo in avanti dell'Oriente negli equilibri mondiali. E però quanti film, quanta letteratura, quanti video sul nostro monumento e quanti sul chilometrico manufatto laggiù nell'Est? Il turismo si fa più lì o più qui? La Vespa zigzagante di «Vacanze Romane», Audrey Hepburn e Gregory Peck a go-go, in un'altra location sarebbe stata la sequenza cult che è? Conserviamola bene la pur sesta meraviglia dell'orbe terraqueo. Racconta la civiltà dalla quale tutti discendiamo. È un sogno per ciascuno.

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