La paura figlia della rabbia e del silenzio
Dirò subito le ovvietà, così da accontentare gli impulsi inespressi di genitori, docenti e capi d'istituto che di tanto in tanto s'accorgono di avere a che fare con persone e non soltanto con figli e alunni. La decisione della preside di Cerveteri di sospendere una intera classe per omertà ha un alto valore simbolico. È un atto significativo in un Paese nel quale i quarantenni che hanno visto volare scarpe sulla testa degli indisciplinati e i cinquantenni che sudavano di fronte alla bacchetta sulle dita sono una razza rara, magari cresciuta in provincia. Quella provincia che s'è tenuta stretta i valori e che oggi torna a difenderli con un certo piglio. Dirò subito pure che si tratta di una decisione coraggiosa e originale in un Paese nel quale se un professore reclama il profitto degli allievi impatta in famiglie pronte a difendere il pupo a prescindere. Non posso dimenticare nemmeno che la scuola è piena di precari, figli del tirare a campare e di posti gonfiati negli anni durante i quali la preoccupazione più grande della politica è stata mettere le scuole statali contro quelle private, in particolare cattoliche. Ciò detto, passiamo ai fatti come sono accaduti a Cerveteri. Un ragazzo perde la pazienza e fa male alla professoressa. A quindici anni l'esercizio del controllo è nel bagaglio personale solo se in famiglia è un valore custodito al riparo delle immagini volgari e violente di internet e tv. L'insegnante, il giorno dopo, entra, fasciata e piangente, in un'altra classe. Vuole conforto dove non è il caso di cercarlo. Colpite dall'accaduto, alcune ragazze raccontano ai genitori la debolezza di un docente (che per contratto si vorrebbe punto di riferimento). Prevedibile, giusto, naturale. Le mamme si infuriano e presentano il conto. Posso immaginare che l'intervento sia stato più o meno discreto. Riflettendo sulla sequenza dei fatti la protesta diviene di dominio pubblico in un battibaleno. La situazione sfugge di mano ancora una volta. Scelta a caso o forse perché ha meno amiche delle altre, una ragazza viene minacciata: tu e tua madre parlate troppo. Messaggio chiaro. Terrore e freddo dentro. Assenze che forse solo oggi finiranno. La paura resterà. Minimo comune denominatore di questa breve storia. Ha avuto paura il ragazzino che ha spinto il banco per protestare contro l'insegnante rea di volerlo far spostare. Non voleva restare solo, non avrebbe potuto chiacchierare o forse non avrebbe potuto copiare. Ha avuto paura la professoressa che, invece di narrare subito l'accaduto alla preside, ha preferito piangerne in un altrove estraneo alla vicenda. Hanno avuto paura i complici del bullo che con ogni probabilità hanno assaggiato la sua rabbia molto prima della professoressa. Sanno, perciò, che conviene tenerselo buono e che in gruppo il coraggio si trova, soprattutto se c'è da minacciare una ragazza. Per fortuna, alla fine la catena s'è spezzata. Non ha avuto paura la preside che ha emesso una sentenza esemplare. A scuola di coscienza civile andranno i bulli omertosi, una qualifica esagerata che forse nemmeno si sono guadagnati e che rischiava di diventare un'onta di merito nel caso in cui l'esito della sentenza si fosse trasformato in un formale cinque in condotta. Intelligente la preside. Qui non si tratta di punire. Ma di riflettere e di comprendere che la vita, nostra e degli altri, è una sequenza delicata. Il modello cosca non svanirà in fretta. Magari un'accelerata potrebbe filtrare se accanto agli omertosi, in punizione a riassumere i concetti fondanti della coscienza civile, ci andassero pure i genitori. Hai visto mai. Un'ultima parola per la povera professoressa. La prossima volta faccia casino. Parli lei prima degli altri, magari in presidenza. Come da regolamento...