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La scampagnata cafonal è l'abbuffata

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seguedalla prima Magari con un clavicembalo sul prato, o se vogliamo esagerare, le parrucche da fine Settecento, le crinoline, la partita a whist e la copertina di marocchino azzurro. Arrivano in fiacre, al guinzaglio portano levrieri whippet. Noi no. La scampagnata impone una sana quota di coattitudine: è un rito liberatorio, se sei ragazzino ti si ficca nell'intercapedine dell'inconscio e ti si ripropone - proustianamente, ma anche sordianamente - per tutta la vita, fra tormento e felicità plebea. Anche nell'anno di grazia 2010, quando in cielo soffia l'aria "fina", occorrerebbe muoversi con auto vintage, rigorosamente non climatizzate, con la manovella cigolante per abbassare il finestrino. Una 1100, una 128, un'Anglia, una Simca, al massimo un'Opel Kadett. Dentro ci deve stare, smarmellata e compressa come un albero genealogico in 3d, tutta la famiglia, dalla nonna con le vene varicose e la transaminasi alta, al pargolo con il pannolino puzzolente. Il plaid che servirà per l'abbuffata deve essere vecchio, bisunto, meglio se dimenticato sul sedile da anni, insieme allo schienale di paglia o a "ghiande", e il cane giocattolo che muove la testa piazzato sul cruscotto. Le tarme parteciperanno al party svolazzando e urlando "tana libera tutti". Nel bagagliaio occorrerà stipare: cinque sdraio (due si romperanno sotto il peso di zio Mimmo sonnecchiante), il tavolino pieghevole, con ancora incastrate tracce di uovo sodo di Pasqua 1967, un mangiadischi a pile color aragosta con corollario di 45 giri d'epoca (da Mario Tessuto a Vasso Ovale, da Michele a Luiselle, e naturalmente Jimmy Fontana), un pallone Supertele che va a vento e crea l'effetto a foglia morta, le carte napoletane (ne manca sempre una, ma lo si scopre tardi), una tovaglietta a scacchi plastificata, da apporre sopra il più alacre formicaio nel raggio di seicento chilometri. Indispensabili un thermos con caffé che pare carbon fossile e un frigobar che pesa una tonnellata anche da vuoto. Non mancherà - gadget commovente - il bicchiere retrattile. Che andrà riempito, a seconda dell'età del bevitore, di sangria, vinaccio da mescita ("è bbono, l'ho preso all'osteria de Remo"), o di Fanta, spuma, chinotto. Per i più temerari, l'arma chimica dell'Idrolitina: scuoti la bottiglia dopo aver miscelato le polveri e quella si trasforma in un idrante. Il menù: ciriola con la cotoletta, pizza bianca con mortazza, frittata atomica, sandwich con lardo, somaro bollito, porchetta antica. E - of course - il plate du jour, a scelta fra peperonata, parmigiana, polpettone al marmo cinerino. Nessuno correrà pericoli se l'evento avrà luogo in un parco (ma attenzione al sibilo delle pigne in caduta), tranne l'invito dei vicini d'area, che si sentiranno in obbligo di offrirvi qualche fetta di salame dopo che il loro bambino si sarà avvicinato per giocare con il vostro, un dito conficcato nella narice e il moccio che cola come fosse caucciù. Ma se scegliete la spiaggia fiutate il vento: le sabbie che riposavano lì da millenni finalmente potranno disperdervi sul vostro pranzo, come a punirvi per quell'orrida tentazione del rutto e per aver osato rispolverare la canottiera bianca a costine, che vi stamperà addosso un'abbronzatura edile fino all'autunno. E le mamme ricordino il tempo di digestione dei loro piccoli: che abbiano davvero mangiato o meno, non si scappa dal diktat. Ci vorranno almeno tre ore prima di un tuffo in acqua. Il sole a quel punto sarà quasi tramontato, gli adulti stramazzati, e il picnic registrato per sempre nella scatola nera della memoria. La gioia piena è coatta, mica chic. Stefano Mannucci

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