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Lei rifiuta il velo, lui rapisce il figlio

Burqa

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{{IMG_SX}}Lui egiziano, lei romana. Lui voleva che lei indossasse il velo. Lei si rifiutava. E allora giù botte, fino a che il marito padrone ha rapito il figlio alla moglie. La picchiava perché non voleva indossare il velo. E, dopo l'ultimo pestaggio, il marito-padrone egiziano l'ha rispedita in Italia e si è tenuto il piccolo. La ventinovenne allora si è rivolta alla Squadra Mobile e lo straniero è stato arrestato. Nei suoi confronti, il Gip Nicola Di Grazia ha ipotizzato i reati di sequestro di persona, sottrazione di minori, maltrattamenti in famiglia, percosse e violenza sessuale. La storia ha come protagonista e vittima indiretta un bambino di tre anni. Tutto comincia a gennaio, quando i genitori, madre italiana e padre egiziano, vanno con il piccolo in Egitto a trovare i nonni paterni. Ma è un trappola: pochi giorni dopo la donna viene picchiata e costretta a rientrare in Italia da sola. Il bambino rimane con il padre e i nonni. «Te lo riporto morto piuttosto che farlo ritornare da te», diceva l'egiziano. La moglie allora si rivolge alla Mobile. Riferisce di essere stata pestata numerose volte e, in alcuni casi, anche stuprata dal consorte straniero. Spesso il motivo delle liti era il velo che la donna rifiutava di indossare quando nella loro abitazione venivano in visita amici in visita. L'egiziano, che nel nostro Paese lavora come fioraio, è così finito in manette qualche settimana fa, subito dopo il suo rientro in Italia. Dopo diversi contatti con i nonni, ieri anche il bambino è tornato a Roma, accompagnato da una hostess della Compagnia aerea egiziana ed è quindi stato riassegnato alla madre. Gli investigatori della Squadra Mobile hanno collaborato nel corso delle indagini col Servizio di cooperazione internazionale con le attività consolari in Egitto e con la stessa Polizia egiziana. «Sono storie frequenti - ha detto il capo della Squadra Mobile romana Vittorio Rizzi durante una conferenza stampa convocata per comunicare la notizia ai giornalisti - Questa è a lieto fine e dà la speranza a tutte le donne che vivono la stessa brutta esperienza».

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