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La rabbia al Gemelli: «Maledette minicar! Sono una trappola»

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.Col fiatone che non si ferma. Il volto straziato. Arrossato. Rigato dalle lacrime. E chino, ai bordi del marciapiede di fronte la camera mortuaria del Gemelli. Federica è lì dentro. C'è la sua salma. Ma non è possibile vederla. Ora no. I suoi compagni di scuola, quelli del liceo De Santis, gli amici di sempre, quelli dell'Olgiata, vivranno col suo ricordo nell'anima. Nulla di più. In jeans e felpa, in tuta, in gonna, qualcuno spera ancora sia uno scherzo. Le lacrime non si fermano. «No, ancora non ci posso credere, l'avevo vista ieri. No!!! Non è possibile». Inutile provare a placare il dolore. L'impulso è quello di abbracciare più forte possibile il compagno accanto. Si parla sottovoce. Singhiozzando. Le ore passano intrappolate nel tempo. Arrivano altri ragazzi. Poi altri. «No, non è possibile vederla», dicono i primi agli ultimi arrivati. Si iniziano anche a radunare le mamme e i papà degli studenti. Ancora lacrime. Un giovane in t-shirt grigia si stringe al collo di una ragazza coi capelli rossi. Poi, rabbioso, si scaglia contro le minicar: «Queste maledette macchinette del cazzo! 'Ste macchinette de merda! Le odio! So' come una trappola. A 'sto punto - urla lui - mejo er motorino no? Almeno se caschi, se fai un cavolo de incidente, non resti incastrata». «'Ste mini-macchine dovrebbero toglierle di mezzo - dice un altro ragazzo lì accanto - ma a che servono? Adesso pure le macchinette, pure». Sulla strada del Gemelli passa un ragazzo in auto con il volume dello stereo un po' alto, per il luogo: «E abbassa sto coso, hai capito?», gli fa un altro. I compagni di Federica si aggirano per il Policlinico con le mani al volto. A volte, qualcuno seduto in un angolo con la sigeratta spenta in bocca e lo sguardo perso nel vuoto, esplode in un pianto. Dopo l'ora di pranzo iniziano a squillare anche i telefonini. Sono quelli del De Sanctis che hanno appena saputo. «Arriviamo». «Non correte regà, tanto Federica starà qui alla camera mortuaria almeno fino a tutto domani». «Lo so, lo so. Ma ci hanno appena avvertito». «Chi?». «I bidelli». «Perché?». «Perché cercavano i testimoni dell'incidente, qualcuno che sapesse come era andata e potesse dirlo alle guardie». «Ho capito, vabbè ragà ma non correte. Tanto noi stiamo qua da stamattina. Anche tutta la classe di Fede l'hanno fatta uscire prima per venire qui. Ma non è che cambia nulla. Stiamo qui. Lei è lì. Non la vediamo. È inutile. Non la vediamo più».

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