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Caracciolo smentito dal suo factotum

Simonetta Cesaroni

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Entra in aula zoppicando vistosamente. È per la poliomielite che lo affligge fin da piccolo. «Si avvale della facoltà di non rispondere?», gli chiede il presidente della Corte d'Assise Evelina Canale. «Voglio rispondere. Questo gnocco non me lo porto avanti...», replica convinto Mario Macinati, ex factotum dell'avvocato Francesco Caracciolo di Sarno, a sua volta ex presidente dell'Associazione alberghi della gioventù di via Poma. È lui, fattore-giardiniere-tuttofare nella tenuta dell'avvocato a Tarano (Rieti), il protagonista della settima udienza del processo per l'omicidio di Simonetta Cesaroni. Una «comparsata» colorita e piena di spunti esilaranti, la sua, se non stessimo parlando dell'assassinio brutale di una ragazza. Ma, al di là, del colore e dei sorrisi, la testimonanza di Macinati è servita a porre le sue dichiarazioni in contrapposizione con quelle di Caracciolo. L'episodio in questione riguarda due telefonate ricevute dalla moglie dell'uomo la sera del 7 agosto, poco prima che il delitto venisse scoperto. La voce maschile dall'altro lato della cornetta chiedeva dell'avvocato, che si trovava a 16 chilometri di distanza. Il giorno dopo Macinati riferì a Caracciolo. Ma quest'ultimo ha negato, giurando di aver appreso solo ieri la circostanza. Continua, insomma, l'opera di «pulizia» del pm Ilaria Calò, che vuole sgombrare il campo da sospetti e piste senza sbocco processuale per arrivare a concentrarsi sul suo vero bersaglio: Raniero Busco. Questa volta è toccato ai Macinati (padre e figlio), Caracciolo e Luigina Berrettini, l'impiegata che ha confermato di aver parlato al telefono con la vittima alle 17,15 e alle 17,40 circa di quel martedì di sangue. «Qualcuno, verosimilmente Vanacore, ha chiamato due volte Macinati, chiedendo di lei e dicendo di chiamare a nome degli Ostelli. Il fattore è venuto a dirglielo?», è il quesito della Calò per l'avvocato. «No, no», ripete il teste. «Non si sarebbe risentito, se non l'avesse avvertito?», incalza il pm. «Se non lo sapevo...». «Poi l'ha saputo». «Non l'ho saputo mai - è la risposta di Caracciolo - è una cosa che apprendo adesso». L'accusa, a questo punto, vuole sapere «perché Macinati temeva che lei si sarebbe arrabbiato per le telefonate di Vanacore». E l'avvocato giustifica il fatto sottolineando la scarsa affidabilità del personaggio: «È uno che può dire tante parole senza senso o logica, ha avuto una vita difficile, e nessuno in paese prenderebbe sul serio quello che dice, racconta fesserie, balle, anche per far vedere che è importante, per farsi bello». Una reazione dura, quella dell'ex presidente regionale dell'Aiag, scagionato dal test del Dna. Ma questo non impedisce al suo ex factotum di contraddirlo. Ascoltata una lunga intercettazione effettuata nell'auto che riporta Macinati e il figlio Giuseppe a casa dopo la deposizione in Procura (durante il viaggio il secondo redarguisce il primo per aver «parlato troppo»), Ilaria Calò approfondisce con il vecchio contadino il dettaglio delle due telefonate. «Le ha prese mia moglie mentre io riposavo - conferma lui - La prima sarà stata verso le 20,30. La seconda verso le 23. Io ero tornato alle nove di sera ed ero stanco morto. L'avvocato aveva dormito ma io avevo tagliato il prato e la strada da casa sua so' sedici chilometri tutte buche». Per questo, spiega, non si è preoccupato di avvertirlo subito. Sebbene nel corso della seconda chiamata il telefonista, sicuramente un uomo, avesse fatto presente l'urgenza della sua richiesta. «È andato la mattina dopo?», continua il pm. «Sì, sì, si...!», afferma sicuro l'uomo. A Macinati viene anche contestata la conoscenza di Vanacore e della sede Aiag di via Poma. L'accusa gli ricorda che nel 2008 disse di aver fatto la conoscenza del portiere, che era «una persona squisita». In seguito negò di averlo conosciuto («Mai!», interrompe il teste). Più tardi ancora, nell'intercettazione ambientale, dirà che ci aveva preso «un paio di caffè» e che non l'aveva detto perché sennò l'avvocato si incazzava. «Adesso dica la verità», pressa Ilaria Calò. Macinati si schermisce: «Mi trovavo confuso di testa. Ero depresso. Me so' sbagliato, me volete arresta'? Vado in galera ma la bugia non la dico. Se devo di' la verità, io Vanacore non l'ho mai conosciuto». Quei caffè, precisa il fattore, li ha presi con Salvatore Sibilia (marito di Anita Baldi, ex direttrice amministrativa dell'Aiag, deceduto tempo fa) all'ostello del Foro Italico. Nessuno, però, chiede a Caracciolo per quale ragione nei giorni, o mesi successivi non abbia appurato che cosa voleva da lui l'anonimo telefonista la sera dell'omicidio. Il prossimo appuntamento in aula è il 7 maggio.

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